APPUNTI PER LA MINORANZA DEL PD SULLE RIFORME

Nonostante mi senta sempre più estranea al dibattito interno del PD, nonostante mi senta sempre più vicina al progetto di Coalizione sociale della Fiom e a quelli che cercano di ritrovare la strada per costruire in Italia un’alternativa al Partito Unico della Nazione, sono interessata come ogni persona di sinistra a quello che farà la minoranza del PD in occasione del dibattito parlamentare sulla riforma elettorale. Su questa pagina ho scritto più volte cosa penso, però ci torno oggi, perché non mi convince l’idea che si possa accettare l’Italicum in cambio di qualche promessa di modifica della riforma costituzionale. Non so se avverrà, ma se avverrà non sarà una bella pagina per la democrazia italiana. Leggi oltre →

LA SCELTA

Scelta difficile quella di oggi, non è la prima della mia vita politica, ma ne sono convinta e questo mi basta. Vi metto di seguito per intero la dichiarazione che ho fatto alla stampa sulla rinuncia alla candidatura alle elezioni regionali.

“Il 4 marzo ho inviato ai segretari regionale e metropolitano del PD la mia proposta di candidatura, come consigliera regionale uscente, per le prossime elezioni. L’ho fatto nonostante avessi dubbi molto seri, e solo dopo aver ricevuto tante sollecitazioni da compagne e compagni che vorrebbero vedere rappresentate in Consiglio regionale anche voci diverse.

Tuttavia, il mio animo non si è rasserenato. Anzi, proprio in questi giorni – dopo l’approvazione alla Camera dei deputati della riforma costituzionale e dopo il voto in Consiglio su legge elettorale regionale e sanità toscana – i dubbi sono tornati ancora più forti. E poi, si è consumata del tutto la rottura tra il PD e le altre forze politiche di sinistra che avevano dato vita alla maggioranza che vinse le elezioni regionali nel 2010, e il PD si accinge a presentarsi al voto praticamente da solo e con una scolorita lista civica di appoggio.

Non posso perciò essere candidata nelle liste del PD alle regionali. Ho inviato oggi ai segretari regionale e metropolitano la mia rinuncia. Leggi oltre →

Ripartiamo dalla scuola per cambiare l’Italia

Relazione di Daniela Lastri all’incontro del 14 giugno 2013

Torniamo a parlare di scuola, dopo la fine dell’anno scolastico, e stavolta lo facciamo con la ministra Maria Chiara Carrozza del PD. Lo facciamo in una situazione molto complicata, e sappiamo bene quante difficoltà e quanto lavoro sono davanti a chi, al Governo, ha la responsabilità primaria sull’istruzione italiana.

Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha detto che nessun taglio ci sarà sull’istruzione (e formazione e ricerca). Ma qui, lo sappiamo, non basta il NO ai tagli, ci vorrebbe una svolta epocale. Diciamo allora che contiamo sul fatto che il Governo riesca a porre oggi le condizioni per la svolta futura. Contiamo che questo avvenga, e siamo qui a dire alla ministra che noi le saremo vicini in questo lavoro.

Da tempo abbiamo cercato come PD Toscano di riprendere le fila di un discorso generale, per rimettere dovunque la scuola al suo posto (sia dove amministriamo sia nei luoghi nei quali siamo impegnati professionalmente).

Siamo impegnati da tempo a far sì che l’istruzione e la scuola siano sfilate lentamente dall’agenda istituzionale principale, e precipitino dove non devono stare, cioè nelle politiche minori, nei posti dove si fa quel che si può e nulla di più.

Ricordo i titoli dei convegni e degli incontri di partito e del gruppo consiliare PD, delle tante riunioni con gli amministratori che in quest’anno e mezzo abbiamo fatto:

-          l’edilizia scolastica, gli investimenti e le restrizioni del patto di stabilità;

-          la dispersione e l’abbandono;

-          la scuola e l’accoglienza degli alunni disabili;

-          l’accoglienza degli alunni stranieri.

Ricordo anche le politiche che a livello regionale abbiamo impostato e le scelte importanti che sono state fatte, tra cui:

-          l’approvazione del Piano integrato generale dell’istruzione;

-          il finanziamento delle scuole dell’infanzia e l’impegno per sviluppare i nidi;

-          il finanziamento del trasporto scolastico per i disabili e l’accordo con l’ufficio scolastico regionale per il sostegno.

Tralascio, per decenza, le ripetute analisi sulle politiche dei Governi Berlusconi e sulle debolezze del Governo Monti. Le abbiamo ricordate nei documenti ufficiali del PD, e ad essi rinvio. Dico solo che lo stato della scuola che ci lasciano le politiche governative degli ultimi 5 anni è a dir poco desolante.

È da qui che dobbiamo ripartire, e so che non è facile in questa situazione delle finanze pubbliche. D’altra parte, come l’Eurostat mette in evidenza, l’Italia è all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica in istruzione.

Ma veniamo al da farsi.

La ministra ha avuto modo di presentare alle Commissioni riunite di Camera e Senato le linee di azione del Governo sull’istruzione. Lascio a Lei di rinnovare qui quei ragionamenti, magari sulla base delle nostre riflessioni. Molto importante sarà anche sentire nel merito l’opinione della Vice presidente della Giunta Targetti, che ci aggiornerà anche sullo stato di attuazione delle politiche regionali.

Molte cose dette dalla ministra coincidono con le riflessioni che siamo andati facendo in questi anni. Il nostro sostegno, dunque, non può che essere pieno su molti punti:

-          edilizia scolastica e nuovi margini sul patto di stabilità per effettuare gli investimenti;

-          lotta alla dispersione e all’abbandono, e in generale interventi per gli studenti con al centro l’apprendimento di qualità;

-          interventi per il personale della scuola, per i precari, per gli insegnanti di sostegno;

-          sostegno all’autonomia scolastica;

-          aumento del tempo scuola e potenziamento della scuola dell’infanzia;

-          istruzione degli adulti;

-          potenziamento dell’istruzione tecnico-professionale e raccordi tra istruzione formazione e lavoro.

Su tutti questi temi qui in Toscana siamo molto sensibili, perché colgono la sostanza dei problemi che abbiamo di fronte. Il nostro sostegno alle azioni che si propone il Governo è pieno e fuori discussione.

Prendo come esempio la lotta alla dispersione e all’abbandono scolastico. I dati toscani sono preoccupanti, a partire da quelli dell’ISTAT che, per quanto campionari, ci sembrano ormai molto vicini alla realtà, con un preoccupante 18,6% di abbandoni, ormai superando la media nazionale, mentre gli obiettivi europei di Lisbona 2020 sono al 10%.

I dati del nostro osservatorio dicono che:

-          il 15,59% degli studenti è in ritardo;

-          nella primaria il ritardo è del 4,1%;

-          nella media siamo al 12,88% dei ritardi;

-          nelle superiori si arriva al 29,83% (qui abbiamo: licei 16,25%; tecnici 31,84%; professionali 57,45%)

Come è stato messo in evidenza dal documento degli esperti nominati dal Presidente della Repubblica “… l’identikit degli studenti a rischio di dispersione è delineato: si tratta in particolare di maschi provenienti da una realtà socio economica e culturale svantaggiata e che hanno perso almeno un anno nel corso del primo ciclo. Se non invertita, questa tendenza farà sì che, nella migliore delle ipotesi, la futura forza lavoro non avrà le competenze minime richieste da processi produttivi in rapida evoluzione …”.

Dobbiamo agire, tutto il sistema istituzionale deve agire, a partire da azioni di prolungamento del tempo scuola.

Ma il punto saliente è: come mobilitare risorse aggiuntive per la scuola e, una volta conseguite, come costruire un sistema efficace di attuazione delle politiche.

C’è, su questo, una questione nazionale e una questione locale.

Non viviamo in tempi ordinari, viviamo in tempi eccezionali. Se a livello nazionale non si operano scelte importanti nella redistribuzione del reddito e in funzione delle politiche strategiche non si va da nessuna parte. Ogni discorso istituzionale va a farsi friggere.

Sull’istruzione occorre un’intesa forte tra Stato e Regioni, direi perfino tra Stato (Governo) e ogni singola Regione, e ogni singola Regione con il suo sistema locale. Ogni risorsa disponibile, propria dello Stato o del sistema regionale e locale o derivante dai programmi comunitari, deve essere messa sul piatto della bilancia, per essere impiegata bene e presto. Definiti gli obiettivi comuni (livelli essenziali delle prestazioni, infrastrutture necessarie diffuse sul territorio), occorre determinare strumenti operativi, tempi di realizzazione, verifiche dei risultati raggiunti. Quello che non possiamo (più) fare è giocare ognuno per sé, Stato, Regioni, comuni, province, con obiettivi declamati, atti di programmazione ben fatti ma che restano sulla carta, capacità realizzative scarse. La Regione Toscana, ad esempio, ha un tessuto istituzionale – la concertazione, le zone intercomunali e le unioni, la Regione in quanto tale, le stesse province seppure in situazione di estrema incertezza – che può reggere a questa prova.

Per fare questo sforzo eccezionale, occorre però sapere qual è l’approdo a cui tendiamo. Ciascuno può anche rinunciare ad una quota di autonomia e condividerla con gli altri soggetti, se c’è di mezzo un’impresa che valga la pena di essere vissuta e se si sa dove vogliamo andare. Basta intendersi su quello che non deve accadere: un progressivo inevitabile spostamento di costi sul sistema locale senza responsabilità. Penso, ad esempio, alla Regione Toscana, che continua a svolgere un ruolo di supplenza sul finanziamento delle sezioni di scuola dell’infanzia, senza prospettiva, senza assumere il ruolo che le compete.

Le Regioni e i sistemi locali non sono gli stessi in ogni parte d’Italia, e non solo perché diversa è la qualità dell’amministrazione. Diverse sono anche le esperienze e le priorità. Ad esempio, guardiamo alla prima infanzia. Nelle linee programmatiche del Governo si sostiene l’importanza del potenziamento delle sezioni primavera. Anche noi abbiamo operato in questa direzione, ma giustamente tenendo conto della nostra esperienza, che è quella di non scolarizzare la prima infanzia ad ogni costo. Vorrei ricordare che ai tempi della Moratti si prevedevano gli anticipi sia nella scuola dell’infanzia sia nella scuola primaria; il successivo Governo Prodi fece la scelta delle sezioni primavera per far fronte ad una difficile gestione dell’accoglienza dei bambini “anticipatari”. Si trattò dunque di una iniziativa limitata e non di sistema. Ricordo i passaggi da noi fatti:

-          nel 2011-2012 la Regione ha finanziato 15 sezioni primavera a titolarità comunale, di cui 11 tra centri gioco educativi e 4 scuole dell’infanzia, a fronte di finanziamenti statali di 46 sezioni primavera rivolte alla scuola dell’infanzia (4 a titolarità statale, 42 a titolarità privata, di cui 6 nidi e 36 scuole dell’infanzia)

-          nel 2012-2013 giustamente la Regione non ha previsto finanziamenti per le sezioni primavera, concentrando invece il massimo sforzo per il finanziamento delle scuole dell’infanzia, grazie al quale si è garantito il diritto all’accesso alle scuole dell’infanzia a 3.000 bambini;

-          come ha recentemente ricordato la Vicepresidente Targetti, la Regione stanzia importanti risorse (7,3 milioni circa nel 2013) a sostegno della qualità e dell’offerta formativa dei servizi educativo 0-3 del territorio.

Voglio essere chiara: nessuno mette in discussione che in un territorio, in una Regione, le sezioni primavera siano una priorità; ma non va bene che debbano diventarlo per tutti, pena il mancato accesso a risorse importanti.

Noi invece consideriamo una priorità la generalizzazione della scuola dell’infanzia.

Continuo a pensare che l’approdo non può che essere una maggiore responsabilizzazione del sistema regionale e locale. Capisco le esigenze unitarie, in nome della straordinarietà del momento e dell’urgenza di superare le tante arretratezze del sistema d’istruzione. Ma questo deve essere fatto in vista di un nuovo equilibrio, che va costruito da subito. L’occasione è anche nella riforma costituzionale del Titolo V, oggi all’ordine del giorno. Bisogna che prendiamo una decisione, non si può attendere oltre.

Alcuni nodi vanno sciolti, servono per costruire l’assetto futuro.

Su alcune cose non si può tornare indietro:

-          penso alla programmazione scolastica del sistema regionale-locale, che già c’è;

-          penso anche alla gestione amministrativa della distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche da parte della Regione, che non è stata mai attivata, ma che va messa nel conto, magari in tempi e modi differenziati. So che questo è un punto dolente. Ma nella prospettiva mi sembra una questione ineludibile.

Non si può chiedere alle istituzioni regionali e locali di gestire il contorno e magari di sostituire lo Stato nelle cose che ad esso competono. E siccome credo che ormai è alle nostre spalle, per fortuna, la visione localistica della scuola che era nelle impostazioni leghiste (separatismo dell’istruzione), e giustamente puntiamo ad un sistema nazionale dell’istruzione che garantisca a tutti i medesimi diritti e opportunità di successo, possiamo oggi dedicarci con più serietà al problema dell’organizzazione. Mi chiedo se lo Stato regge più una organizzazione centralizzata su tutto: me lo chiedo per il buon funzionamento della scuola, e perché vorrei un sistema unitario negli orientamenti didattici, con autonomie (prima di tutto quella delle scuole) convergenti e non divergenti.

Credo perciò che, nell’ambito della riforma del Titolo V, dobbiamo riequilibrare il sistema su alcuni punti:

-          penso agli istituti professionali, innaturalmente oggi risucchiati nel sistema regionale della formazione professionale;

-          penso anche alle scuole dell’infanzia: la realtà ci dice che qui si può fare un percorso diverso, dallo Stato alle Regioni e al sistema locale. Non vedo di buon occhio la corsa alla dismissione delle scuole dell’infanzia comunali verso lo Stato, mi sembra una perdita di qualità del sistema locale. Qui possiamo pensare ad altro, ad una più forte unità Stato-Regioni-comuni sugli orientamenti didattici, e ad una più decisa devoluzione di tutta l’organizzazione.

Insomma: nessuno riuscirà a farsi carico di un problema se non c’è dentro fino in fondo, se non ha una responsabilità piena.

Del resto, il superamento ormai inevitabile delle province porrà a tutto il sistema dell’istruzione problemi nuovi. Alcuni compiti (penso all’edilizia scolastica) non potranno che affluire verso i comuni, singoli o associati. Altre funzioni dovranno essere riassunte verso il sistema comuni-Regione. Ci sarà maggiore spinta all’unitarietà.

Anche per questo, continuo a pensare che il sistema dell’istruzione necessita di una visione unitaria e autonoma, dove le connessioni con il sistema della formazione e del lavoro ci sono ma sono ben strutturate. In Toscana, penso, ci voglia una legislazione nuova sull’istruzione, che metta a regime le competenze dei soggetti istituzionali, impegnandoli nel cuore dei problemi. Una legislazione non ancillare rispetto a quella del lavoro.

Di questa spinta all’unità e alla responsabilità convergente delle istituzioni impegnate sul fronte dell’istruzione pubblica (compreso quello che dobbiamo fare insieme nell’emergenza) dobbiamo farci forza, per rimettere in sesto il sistema dell’istruzione, trovare le connessioni, provare a spingere per una maggiore qualità. E rispondere così alla nuova domanda sociale.

Penso che da questo nostro confronto possiamo ricavare molta energia, pur nelle difficoltà che ognuno si trova ad affrontare.

Lascio a voi la parola, so che avete molto da dire. Contiamo tutti nella possibilità di aprire un cammino nuovo e devo dire che le linee programmatiche presentate dalla ministra ci danno questa speranza. Grazie a tutti.

La scuola sono anch’io. Idee e proposte per un’educazione inclusiva

Empoli, 26 aprile 2012 – Introduzione di Daniela Lastri.

Voglio ringraziare il PD di Empoli e del circondario empolese che ospita questo nostro incontro, che fa parte del percorso che ci siamo dati in vista della nostra conferenza programmatica regionale. Dal primo convegno del 17 settembre 2011, ai due incontri sulla disabilità nella scuola e sull’edilizia scolastica, oggi siamo qui a discutere di immigrazione e poi, tra qualche settimana, il 18 maggio a Prato, concluderemo il nostro itinerario con una riflessione sulla dispersione scolastica.

C’è un filo che conduce questa nostra riflessione: la volontà di far emergere i punti più critici della vita della nostra scuola, e di fare in modo che il PD mantenga un’attenzione molto forte sulla scuola, e questo si traduca in azione politica, nelle istituzioni che governiamo oggi e che siamo destinati a governare nel prossimo futuro.

La scuola, il PD e il governo Monti

Intervento alla conferenza programmatica del PD metropolitano – Firenze, 30 marzo 2012

Giorni importanti, questi. Per il Paese e per il PD.

Lo sono per noi che siamo qui, perché crediamo che ritrovarci a discutere insieme è una cosa a cui non possiamo rinunciare. Oggi non dobbiamo approvare documenti o mozioni. Oggi ci esercitiamo ad ascoltarci, e ad ascoltare attraverso le nostre parole quello che si muove intorno a noi. Leggi oltre →

Il futuro delle politiche educative e di welfare

Ripartire da etica e democrazia: quale vision e governance pubbliche per politiche educative e di welfare per le famiglie e l’infanzia?

(appunti – marzo 2012)

Mi chiedo che senso positivo cerchiamo di dare a questa nostra discussione. I nomi contano. Conta come chiamiamo le cose quando le cose non ci sono più. È quello che sta succedendo alla scuola pubblica, ed è per questo che bisogna urlare, altrimenti nessuno la vede più, la scuola pubblica. E men che mai i servizi educativi per l’infanzia, a partire dal nido. Leggi oltre →

Nessuno sia escluso. La scuola è di tutti

PD Toscana – Gruppo regionale del PD

Garantire i diritti degli alunni disabili. Esperienze e buone pratiche In Toscana

Nessuno sia escluso. La scuola è di tutti

Consiglio Regionale, Sala delle Feste – 19 gennaio 2012 – Firenze

Introduzione di Daniela Lastri

Benvenuti a questo nostro incontro e grazie fin da ora per il contributo che ci darete.

Questa iniziativa del PD e del gruppo regionale toscano prosegue l’impegno che abbiamo avviato qualche mese fa, il 17 settembre del 2011, e si inserisce in un denso programma che vogliamo realizzare in vista della conferenza programmatica.

All’incontro di settembre “La scuola, il nostro primo bene comune” avevamo preso l’impegno di dare continuità alla nostra azione politica. Oggi ci occupiamo del diritto all’istruzione degli alunni con disabilità, per innalzare la nostra attenzione collettiva di dirigenti politici, amministratori, operatori. Abbiamo bisogno, credo, di una presa di coscienza della realtà, di convincere di più noi stessi, le nostre amministrazioni, il PD che bisogna fare di più e meglio.

Abbiamo impostato questo seminario in modo da raccogliere tante voci sulle esperienze in corso, sui problemi che si incontrano per realizzare il diritto all’istruzione di tutti, e su come costruire una prospettiva nuova. Oltre l’inserimento, per l’integrazione e la piena inclusione.

Non è un’operazione scontata. Sulla disabilità e sui disturbi specifici di apprendimento l’Italia ha leggi tra le più avanzate d’Europa. Eppure è sempre sul punto di fare marcia indietro. Il pericolo si avverte oggi più di prima, visto che siamo nel pieno di una crisi finanziaria che rischia di travolgere il nostro stato sociale. C’è voluta una sentenza della Corte Costituzionale, la sentenza n. 80 del 2010, per rimettere le cose in ordine e riaffermare che “il diritto del disabile all’istruzione si configura come diritto fondamentale”, e che pertanto ogni limitazione del numero di insegnanti di sostegno e l’eliminazione della possibilità di assumerli “in deroga” sono in contrasto con il quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario.

Del resto, sappiamo che la nostra spesa pubblica ha più un problema di qualità che di quantità. E che la scuola che vogliamo partecipa pienamente a questo discorso sulla qualità, rappresentando un potente fattore di sviluppo civile, sociale ed economico.

Dietro ogni alunno che si perde, dietro ogni fallimento dell’integrazione, si annidano costi sociali elevati, che siamo destinati a pagare in termini di benessere, salute, civiltà, sistema di diritti e di opportunità. Per tutti.

Per questo, come dicevo, insisteremo nei prossimi mesi a parlare di scuola, e soprattutto di lotta alla dispersione scolastica, di edilizia, di accoglienza e integrazione degli alunni stranieri, di servizi educativi per i bambini da 0 a 6 anni. Per poi concludere questo percorso con una occasione di discussione generale sulla scuola del futuro.

Continuo a pensare, infatti, che la Regione Toscana debba dotarsi di una nuova e più compiuta legislazione sull’istruzione, cogliendo tutte le opportunità che offre il nuovo quadro politico nazionale.

Non voglio occupare troppo tempo, anche perché – come dicevo all’inizio – questo nostro seminario è dedicato a dar spazio agli interventi dei nostri ospiti. Mi limito a qualche considerazione.

La prima è che dall’incontro di settembre ad oggi lo scenario politico è completamente mutato.

Abbiamo un nuovo Governo, abbiamo nuove sensibilità, ed è fondamentale che, così come si interviene su molti settori della vita del Paese, vi sia una chiara svolta anche in quello dell’istruzione.

Noto che sta maturando una presa di coscienza generale, e considero non casuale che nelle ultime settimane sulla stampa nazionale si siano moltiplicate le riflessioni sul ruolo che l’istruzione deve giocare, e soprattutto sul fatto – per noi assolutamente chiaro – che l’istruzione è un investimento. Anzi, è l’investimento per eccellenza. Se dopo Salva Italia si vuole fare Cresci Italia, allora non vi è dubbio che l’istruzione e la scuola devono assumere un ruolo centrale nelle politiche nazionali.

Se vi ricordate, nello scorso convegno avevamo dato quattro priorità, e la prima era “ridare la libertà al Ministro Gelmini”. Ebbene, la Gelmini è finalmente liberata di ogni incombenza, e non è poco.

Gli effetti negativi delle sue politiche sono purtroppo ancora presenti, e non sarà facile liberarcene. Lo vediamo proprio sul tema dell’incontro di oggi. Le famiglie, le istituzioni scolastiche, gli enti locali lo avevano ripetutamente denunciato: la diminuzione delle ore assegnate al sostegno degli alunni disabili colpisce diritti fin qui garantiti dalle leggi del nostro Paese, il modello italiano rischia di perdere qualità.

La Toscana non fa eccezione. Aumentano gli alunni disabili, passati in un solo anno da 9.915 agli attuali 10.202. L’organico “di fatto” dedicato al sostegno è rimasto invariato, e solo grazie ad un importante coordinato intervento della Regione e dell’Ufficio scolastico regionale si è attivata un’azione di sistema per far fronte alla nuova realtà delle cose. Un maggior numero di alunni disabili toscani, così, potrà ricevere le risposte che chiede.

Sarà la Vicepresidente Stella Targetti a entrare nel merito di questo provvedimento, e delle prospettive di lavoro futuro che esso è in grado di aprire.

Gli altri interventi daranno conto di quali risposte i territori sono riusciti a offrire, dei problemi affrontati, delle difficoltà ma anche dei successi ottenuti. E facciamo bene a tener conto di una domanda sociale che si fa sempre più forte e qualificata, e che si esprime non solo nei ricorsi delle famiglie ma anche in tante prese di posizione di associazioni e gruppi di cittadini, cui spesso si affianca l’adesione di organizzazioni del Partito Democratico. Il grido di allarme va ascoltato.

Elaborazioni, contributi, proposte innovative vengono anche da studiosi, fondazioni, Onlus che operano nel settore, dai quali viene una spinta a non perdere la qualità delle esperienze condotte, anzi a rafforzarle e a migliorarle, superando gli aspetti che si sono rivelati nel tempo più critici, come:

-       un certo approccio prevalentemente medico (per quanto comunque decisivo);

-       l’eccessiva mobilità degli insegnanti di sostegno;

-       il numero eccessivo di scuole prive di insegnate con specializzazione per il sostegno;

-       l’insufficiente coinvolgimento degli insegnanti curricolari;

-       la situazione di isolamento in cui vengono a trovarsi ancora troppe famiglie con ragazzi disabili;

-       il numero troppo elevato di casi di abbandono della scuola (famiglie svantaggiate, famiglie che la scuola non riesce a mettere a loro agio, famiglie straniere, famiglie sfiduciate, disabilità molto grave)

Eppure, la Toscana ha un patrimonio di buone pratiche che dobbiamo mettere a frutto, che dobbiamo saper generalizzare, superando incertezze che pur ci sono. Non dobbiamo temere di investire nella tutela sociale degli alunni disabili. E dove possiamo migliorare nel lavoro coordinato delle amministrazioni coinvolte, le USL, i comuni, le scuole, dobbiamo osare.

A me preme oggi sottolineare come, anche in questo caso, (ricordo quanto fatto anche per le sezioni della scuola dell’infanzia) la Regione Toscana interviene su materie non direttamente sue, al limite delle competenze dello Stato o addirittura attualmente di esclusiva competenza statale, con risorse proprie e con idee proprie. Ecco, questo di avere idee proprie, che riescono a radicarsi nell’amministrazione regionale, a diventare modo normale di operare, è il segreto per sviluppare una nuova dimensione dell’impegno regionale. Più sentiamo le cose della scuola come nostre (anche nostre, anche nella nostra responsabilità), più riusciamo ad operare bene. Sentirle nostre non vuol dire cavare le castagne dal fuoco allo Stato, che resta il primo soggetto responsabile del buon funzionamento delle scuole, almeno fin quando la Regione non assumerà in pieno i compiti che la Costituzione le affida. Vuol dire sentirsi parte di un grande problema sociale. Perciò, penso che abbiamo fatto bene a scegliere di intervenire sul problema degli alunni disabili, per la rilevanza della questione in sé e per sperimentare le nostre capacità.

Testimonia questa volontà anche il fatto che, in sede di approvazione della legge di bilancio, il Consiglio regionale all’unanimità ha voluto dare un ulteriore importante segnale, impegnando la Giunta a prevedere, in sede di predisposizione della prima variazione di bilancio 2012, un milione di euro aggiuntivi da trasferire agli enti locali per sostenere e rafforzare il servizio di trasporto degli alunni disabili. Noi abbiamo chiesto che non sia un intervento episodico, ma che rientri nella previsioni di spesa anche per il 2013 e 2014. Diventi cioè una spesa strutturale e non una tantum.

Copriamo così, con i due interventi descritti, entrambi i fronti del problema degli alunni disabili: l’intervento attivo sulle scuole e quello sui servizi sociali locali.

Ci avviciniamo così concretamente, seppure ancora a piccoli passi e con una impronta sperimentale, al disegno più complessivo di dare attuazione al Titolo V della Costituzione e, quindi, a proseguire nel processo di regionalizzazione dell’istruzione. Su questo punto il  Governo sarà messo alla prova. Come PD toscano insistiamo su questo aspetto perché siamo consapevoli che l’azione regionale – alla lunga – non può reggere con risorse finanziarie che “soccorrono” il sistema locale e le scuole: soccorrere le scuole è impresa lodevole e meritevole di plauso pubblico e di alta considerazione politica, ma poi, per essere veramente efficace, non può che svilupparsi con un essenziale contributo a sciogliere i problemi organizzativi della scuola, e dunque a dare certezze al sistema dell’istruzione pubblica.

Assumere questa visione, questa prospettiva di medio periodo, ci permette di entrare con ancora più autorevolezza nel merito dei temi, anche se su terreni difficili e complessi come quello che oggi poniamo alla nostra attenzione.

Siamo consapevoli che non possiamo affrontare questo tema da soli. Per questo abbiamo chiesto un contributo di idee e di esperienze a voi, amministratori locali, dirigenti e insegnati, operatori del volontariato.

Le difficoltà che si sono riscontrate quest’anno a proposito dell’inserimento degli alunni disabili e che hanno portato ai provvedimenti regionali di cui abbiamo accennato, saltano ancor più alla nostra attenzione se si pensa che i principi ispiratori della legislazione italiana – sicuramente all’avanguardia nel panorama internazionale come dicevamo poc’anzi – sono quelli della socializzazione, della partecipazione, del riconoscimento sociale, dell’arricchimento relazionale, umano e cognitivo per tutti gli alunni, della collaborazione con la famiglia dell’alunno con disabilità, del rispetto delle differenze, dello sviluppo professionale delle figure che operano nella scuola e del miglioramento dei processi organizzativi.

Se un contributo può arrivare da questo nostro seminario è cercare di capire se la pratica è stata coerente con questi principi, se le finalità sono state raggiunte.

Soprattutto a me sembra che uno dei punti fondamentali da affrontare è quello della necessità da parte delle istituzioni di una presa in carico complessiva e integrata dei giovani con disabilità in grado di tenere insieme sia il cd “tempo scuola” che il “tempo di vita”.

È in questa prospettiva che vogliamo lavorare per una scuola sempre più inclusiva, che cioè sappia rispondere ai crescenti Bisogni Educativi Speciali (BES) che attengono alla disabilità e alle difficoltà di apprendimento.

Sappiamo che una presa in carico complessiva e integrata dei giovani con disabilità, che tenga insieme sia il cd “tempo scuola” che il “tempo di vita”, e una scuola ancora più inclusiva che risponda a bisogni educativi emergenti impone nuove prassi relazionali tra Regione, Ufficio scolastico regionale, enti locali, USL, terzo settore.

Forse, e lo pongo come riflessione al dibattito, le azioni di sistema che sono state richiamate anche nel Protocollo d’intesa tra la Regione e l’USR, potranno nel prossimo futuro essere ancora più incisive se troveranno riconoscimento formale in un nuovo patto concertativo tra Regione e i soggetti interessati. Se perciò si andrà, come prevede il protocollo, a ridefinire le cd. Linee di indirizzo per l’integrazione scolastica dei soggetti disabili elaborate nel 2009, è bene che queste siano condivise e perciò dotate di una più forte capacità di produrre concrete innovazioni.

D’altra parte momento più propizio per la definizione di una nuova prassi comune non potrebbe esserci. L’attuazione del Titolo V da un lato, i nuovi provvedimenti regionali in tema di autonomie, gli annunci del Governo Monti sul riordino istituzionale aprono opportunità che vanno colte.

Ci confrontiamo con un impegno che non riserva soste. La spinta verso l’affermazione piena del diritto all’istruzione dice che la curva che descrive l’incidenza degli alunni disabili nel sistema scolastico italiano è in continua crescita. Gli alunni interessati sono complessivamente il 2,24% della popolazione scolastica (ci avviciniamo ai 200.000 alunni in Italia), con punte più elevate nella scuola primaria e secondaria di primo grado.

Il nostro successo di amministratori, insegnanti, operatori della scuola si misura anche nel successo scolastico, nel benessere e nella vita attiva di questi ragazzi. Che è poi, in parole povere, lo slogan e il programma politico di questo incontro. La scuola è di tutti. Nessuno sia escluso.

La scuola, il nostro primo bene comune

settembre 12, 2011admin2011, interventi nel PD, nel PD0

PD Toscano – Gruppo regionale del PD – Incontro sulla scuola, 17 settembre 2011, Firenze - Relazione di Daniela Lastri

Buongiorno a tutti!
Qualcuno si sarà chiesto che ci stiamo a fare qui, a discutere di scuola mentre fuori, nella politica, ne succedono di tutti i colori, e mentre le nostre istituzioni locali si trovano a fare i conti con i conti, con i bilanci che non quadrano, con le risorse che non si trovano, e se si trovano non si possono spendere.

Noi siamo qui – amministratori, dirigenti, iscritti del PD, operatori del settore – perché avvertiamo che l’Italia e le nostre comunità locali corrono il rischio di stare a guardare mentre le politiche pubbliche per la scuola deperiscono e si spengono, se va bene in attesa di tempi migliori. Vogliamo fare, dobbiamo fare qualcosa, invece, per contrastare questo declino. Perché il prezzo che la società è destinata a pagare per il declino della scuola è, anno dopo anno, più grande. La nostra non è una voce isolata, come dimostrano le proteste, motivate, circostanziate, delle istituzioni locali, dei sindacati, degli osservatori più avvertiti, della gente comune. Noi vogliamo, però, calcare la mano sulla questione scuola perché non sfugga a nessuno la partita in gioco.

La scuola – lo ricordo a me stessa e a tutti noi – è un grande motore dello sviluppo. C’è occupazione qualificata, si produce ricchezza materiale e linfa per la ricchezza futura, e si realizza al massimo livello l’inclusione sociale. La scuola è la prima fabbrica del benessere di una società. E’ il luogo delle relazioni, tra istituzioni, tra generazioni, tra mondo degli adulti e dei bambini, e tra tutti questi insieme. Se questa fabbrica non va, i problemi aumentano dovunque, con costi sociali immediati e costi sociali ed economici a lungo termine. Per questo, una buona politica scolastica non ammette sprechi, dentro e fuori la scuola. Uso consapevolmente l’immagine della scuola-fabbrica, perché sia chiaro che considero la scuola una istituzione che crea valore e in tutti i sensi.

Esagerando, volontariamente esagerando, diciamo che la scuola è il nostro primo bene comune. Ma in fondo non è proprio un’esagerazione. Certo, ci sono tante altre cose che sono beni comuni importantissimi. Però la scuola è un po’ il precipitato di tutti i beni comuni, è un modo per vederli tutti insieme, lì in quel microcosmo, in quel luogo di gestione quotidiana della vita comunitaria.

La scuola non possiamo perderla. Non possiamo accettare che nelle nostre città, nei nostri paesi, non si riconosca più l’edificio scolastico, quel luogo fisico che è parte della nostra immaginazione e storia collettiva, inconfondibile all’esterno e bello a vedersi all’interno, ricco di colori, attraversato dalla confusione e dalle tracce delle cose che si imparano e si sperimentano ogni giorno, dove si vivono i conflitti con la voglia di risolverli, eppure a suo modo un luogo ordinato e soprattutto sicuro per i bambini e i ragazzi. Non possiamo accettare di veder deperire le nostre scuole, e tra un po’ nasconderle con imbarazzo. Non possiamo accettare che diventino un grande parcheggio della gioventù, dove si passa un tempo indistinto che non si può trascorrere altrove. Un luogo nel quale non c’è più creatività, rigore nell’insegnamento, impegno a formare le persone del domani. Un luogo al quale nessuno più tiene.

Ho sempre pensato che un buon amministratore, un buon politico, dovrebbe occuparsi almeno per un po’ di scuola, non per sentito dire ma per operare scelte di governo. È un buon esercizio, aiuta a vivere una dimensione mite del potere. Quando ti occupi di scuola, la mattina sai cosa succede. Puoi anche pensare per un attimo di essere superfluo. Gran parte della città si sveglia con in testa la scuola, e perfino quelli che a scuola non ci vanno incontrano la scuola ad ogni angolo. Puoi non far niente: quel mondo si mette piano piano in moto da solo. Passa un’ora e ti rendi conto che solo una buona organizzazione è in grado di dare risposte alle tante domande che cominciano ad arrivare dalle scuole e dalle famiglie. Quel mondo che si è messo in moto da solo e che è in grado di andare avanti da solo per tutto il tempo scolastico, che ha le risorse umane e professionali per risolvere da sé tanti quotidiani problemi, ha bisogno di altro per funzionare bene. Se non sei pronto, anche le energie che è capace di mettere in moto da sé si spengono.

È quello che non capisce questo governo, non può capirlo, non ha la cultura della scuola, non riesce a misurare la grandezza e l’umanità della scuola: e se non sei pronto, se non dai risposte per far funzionare la scuola, la scuola non c’è più. Se umìli gli insegnanti, e li convinci ad essere macchine, li allontani da quella che sentono la loro missione professionale. Se li fai sorveglianti alla fine si convinceranno che questo è ciò che la società chiede loro, nulla di più. Se tratti i bambini disabili come un problema tra i tanti, se non addirittura come privilegiati da mettere sotto controllo, alla fine scaricherai sulle famiglie tutte le difficoltà della crescita, e loro non cresceranno come potrebbero fare. Se tratti i bambini immigrati come invasori, i conflitti invece di risolverli li moltiplicherai. E se fai tutto questo, vuol dire che della scuola pubblica non t’importa un bel niente. T’importa semmai, come diceva Calamandrei, di screditarla, di impoverirla, e di dirottare risorse fondamentali verso la privatizzazione dell’istruzione. Ti capita perfino, come ha fatto Berlusconi in uno dei suoi momenti di estasi, di farti scappare di bocca sincere parole di odio per la scuola di tutti, per la scuola pubblica!

Ma tutte queste cose le persone che sono qui le sanno. È tempo di dire cosa dobbiamo fare per convincere noi stessi e il mondo che ci sta intorno che una battaglia va data, per la scuola. Per darla bene abbiamo bisogno di iniziative rivolte al governo e al parlamento, e di rafforzare il nostro impegno sulle cose che noi stessi possiamo fare.

Metto le mani avanti: non è semplice dire cose nuove. C’è una importante elaborazione nazionale del PD, c’è l’impegno della Regione e degli enti locali, c’è un dibattito pedagogico molto vivo, c’è soprattutto una forte domanda sociale che viene dagli insegnati, dagli studenti, dalle famiglie. Gli argomenti sono veramente tanti, e a volerli mettere in fila con poche parole incombe il rischio di cadere nella banalità. Me ne sono accorta preparando questo nostro appuntamento, riflettendo sulle ricerche, le suggestioni, i dibattiti di questi anni e di questi giorni. Non vi aspettate, dunque, che io riesca a dare conto di tutto ciò. La mia intenzione è diversa: provare a convincere il PD, cioè me stessa e tutti voi, che una battaglia per la scuola va data, oggi, senza aspettare tempi migliori, e con tutta l’intelligenza di cui disponiamo. E sollecitare tutto il PD ad essere presente nei momenti cruciali nei quali questo impegno dovrà dimostrarsi concretamente, nelle manifestazioni di piazza come nei luoghi della costruzione della proposta di governo, a livello locale, regionale e nazionale, e infine nel momento in cui torneremo alla giuda di questo Paese. Vi invito, perciò, a fare una discussione aperta, che aiuti tutto il PD a dare spessore al suo impegno. Le proposte del PD Toscano le costruiremo insieme, da oggi e nelle occasioni che verranno.

1.

La prima battaglia che va data è per restituire alla ministra Gelmini la sua libertà. Tre anni sono troppi, per lei e per la scuola italiana. Finiamola dunque con questo stress, mandiamo a casa il governo, il padre padrone e tutti i suoi ministri. Il bilancio complessivo delle politiche scolastiche è dei peggiori della recente storia d’Italia.

Io penso che bisogna andare al più presto alle elezioni. Ma se questa strada fosse impedita dalla chiamata di responsabilità, per mettere mano alla crisi in modo appena decente, cerchiamo almeno di non farci intrappolare: teniamo ferma la necessità di andare al più presto ad elezioni, imponiamo la riforma della legge elettorale e un termine per ridare ai cittadini la parola. Il più presto possibile. Soprattutto, evitiamo che l’opposizione si frantumi in mille pezzi.

La battaglia per la scuola ha bisogno di un centro sinistra solido. E la qualità della scuola pubblica non può che essere un perno essenziale del suo programma. Aggiungo che il centro sinistra deve riuscire a fare un discorso di unità sulla scuola, un discorso nazionale, fatto di due capisaldi:

-      investire sulla scuola, e dunque invertire di 180 gradi la direzione assunta dalla politiche pubbliche di questo governo: la svolta deve essere decisa e radicale, con più risorse e qualità della spesa;

-      riconquistare il valore nazionale e ugualitario della scuola pubblica, e ridare certezza a chi oggi, insegnanti, alunni, famiglie, vede ormai nella scuola solo un problema in più.

Questi due capisaldi devono riuscire a farci mettere alle spalle l’approccio Gelmini-Tremonti, fondato su analisi sbagliate della competitività del sistema. Condivido perciò le proposte che il PD ha messo in campo a livello nazionale e raccomando vivamente di farle diventare un oggetto reale di confronto con le altre forze politiche. Esse riguardano, come sappiamo:

-      la trasformazione del nido d’infanzia da servizio a domanda individuale a diritto educativo di ogni bambina e di ogni bambino, e la generalizzazione della scuola d’infanzia;

-      la certezza di risorse alle scuole per innovare la didattica e funzionare bene;

-      l’estensione del tempo pieno nella scuola primaria e del modulo a 30 ore per le compresenze;

-      il trasferimento degli uffici scolastici regionali dal ministero alle regioni;

-      il passaggio dai livelli essenziali delle prestazioni ai Livelli essenziali degli apprendimenti e delle competenze (Leac);

-      la soluzione del problema del precariato;

-      la lotta alla dispersione scolastica;

-      l’investimento sull’istruzione tecnica e professionale di qualità;

-      il piano straordinario per l’edilizia scolastica.

2.

La seconda battaglia che va data è proprio per l’edilizia scolastica. Qui ci sono gravissime colpe del governo, tra le quali spicca l’abbandono della legge 23 del 1996, l’uso dei fondi FAS, la centralizzazione parossistica delle scelte, l’abbandono dell’anagrafe dell’edilizia scolastica. È tempo, come chiede il PD, di costituire una commissione parlamentare d’inchiesta sui piani di intervento sull’edilizia scolastica. Queste cose le abbiamo dette proprio il 14 settembre, il giorno dell’apertura delle scuole in Toscana, approvando in Consiglio regionale una importante mozione.

Ma c’è anche un impegno nostro che va rimesso in campo con decisione. Non possiamo aspettare momenti migliori. Subito, dunque, si stabilisca quali sono gli investimenti che sono fuori dal patto di stabilità, e tra questi non può che esserci l’edilizia scolastica pubblica.

La messa in sicurezza delle scuole è un problema di tutti. E lo è anche in Toscana, che pure ha fatto in questi anni – enti locali e Regione – uno sforzo importante, segnalato dalla ricerca di Legambiente “Ecosistema scuola 2011”. Avremmo però bisogno di quasi un miliardo e mezzo di euro per l’edilizia scolastica, quasi 900 milioni solo per la messa in sicurezza degli edifici. Cifre da capogiro. Agiamo dunque di conseguenza, a partire dagli strumenti che abbiamo, per fare ciascuno la propria parte. È giusto che la Regione Toscana confermi l’impegno a mettere a disposizione degli enti locali risorse per l’edilizia e a fare in modo che queste siano utilizzabili. Ma sull’edilizia scolastica è tutto il sistema locale che deve mantenere viva l’attenzione, deve trovare le risorse nei bilanci, deve costruire un programma comune. Credo che dobbiamo riuscire ad intervenire con azioni congiunte e concordate sul territorio con accordi Regione-enti locali.

Dunque, abbiamo da svolgere una iniziativa generale, verso governo e parlamento, promuovendo prese di posizione delle istituzioni regionali e locali, facendo petizioni di cittadini e promuovendo incontri pubblici.

Poi, dicevo, dobbiamo impegnarci tra Regione e territorio per organizzare al meglio ciò che possiamo fare per l’edilizia scolastica.

3.

Giustamente, però, alcuni assessori all’istruzione di grandi comuni, tra cui il comune di Firenze, hanno posto il tema più generale del patto di stabilità sull’insieme della spesa per l’istruzione. Condivido questa richiesta, e penso che dobbiamo farla nostra. L’istruzione, come la sanità, riguarda servizi su cui la spesa non può arretrare. Aggiungo che andrebbe fatta una riflessione ancora più ampia, che coinvolga pressoché tutte le funzioni fondamentali dei comuni che attengono all’erogazione di servizi rilevanti per i cittadini.

4.

Il nostro impegno non può mancare, più in generale, sulla scuola dell’infanzia. Anzi, direi sull’educazione per i bambini da 0 a 6 anni, dunque nidi compresi. Abbiamo in questi anni costruito più occasioni e modalità di sviluppo dell’educazione dei più piccoli, ma resta l’esigenza imprescindibile di avere nel territorio una diffusa rete di nidi d’infanzia. Se non c’è questo, tutto il sistema dell’educazione dei più piccoli non regge, perché manca la cultura e l’attrezzatura minima, l’esperienza professionale necessaria per reggere un sistema fatto di più opportunità, anche del privato sociale. Il pubblico non coordina niente se non fa anche da sé. Fortificare la rete dei nidi, anche in una dimensione intercomunale, è un obiettivo realistico. Stesso discorso vale per le scuole dell’infanzia, che – io penso – in una prospettiva moderna dovrebbero essere generalizzate su tutto il territorio ed essere affidate alla gestione comunale. Sulla scuola dell’infanzia possiamo anzi avere un obbiettivo ambizioso, di procedere gradualmente ad una sempre più ampia responsabilità del sistema locale, così costruendo una prima importante attuazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione.

Sulla scuola dell’infanzia la Regione ha fatto un investimento importante, raffrontato soprattutto alla difficile situazione finanziaria che attraversiamo. Certo, non possiamo arretrare. Allo stesso tempo non possiamo non denunciare che l’intervento regionale non può essere sempre sostitutivo, e che, ad un certo punto, bisogna decidersi a trasferire alla Regione, e dunque al sistema locale, il complesso delle risorse e delle competenze dello Stato. Del resto, la stessa Costituzione consente una autonomia più spinta delle Regioni, anche differenziata, che coinvolge anche le norme generali sull’istruzione.

Per inciso, sui servizi educativi per la prima infanzia siamo in Regione in prossimità degli obiettivi di Lisbona (nel 2009 al 31,7%, rispetto all’obiettivo del 33%). Però una parte del territorio ne è privo, le liste di attesa per gli asili nido crescono e hanno ormai superato quota 7.000 bambini. Possiamo lavorare in questa direzione, sviluppando almeno servizi gestiti a livello di area intercomunale? Possiamo, insieme a ciò, puntare di più sulla riduzione delle liste d’attesa? Questi due obiettivi (attrezzare tutto il sistema locale, ridurre le liste d’attesa) potrebbero costituire il nucleo dei nuovi criteri di riparto delle risorse regionali. Nel triennio passato, la Regione ha fatto scelte importanti, concentrando risorse per ben 73 milioni di euro. Ma lo Stato si è gravemente disimpegnato, e non sono più disponibili né le risorse del ministero della famiglia, né quelle del ministero delle pari opportunità.

5.

La riflessione che facevo sulla ricerca di una maggiore autonomia e valorizzazione della Regione e degli enti locali sulla scuola dell’infanzia introduce al tema più generale dell’attuazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione sul punto dell’organizzazione scolastica. Nella cd. Carta delle autonomie (il ddl Calderoli oggi al Senato) è posto il tema del trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, ma finora tutto si risolve in un rinvio a futuri provvedimenti legislativi. Bene: possiamo porre qui subito il tema dell’organizzazione scolastica? Anche prevedendo (come dicevo) trasferimenti differenziati, subito per le Regioni che sono in grado di provvedere?

Perché, se questo non è, se non c’è voglia di assumersi questa responsabilità (come invece in passato è avvenuto per il sistema sanitario), allora meglio rimettere tutto in discussione, le competenze della Regione, quelle degli enti locali, quelle dello Stato. Le scuole, gli insegnanti, le famiglie non possono essere tenuti a lungo così, senza un valido riferimento istituzionale sul da farsi. Nell’era della crisi finanziaria e fiscale non è più accettabile che si facciano manovre “a responsabilità limitata”, con uno Stato che taglia contando di scaricare su Regioni ed enti locali il peso delle sue inefficienze.

È venuto perciò il momento di prendere una iniziativa.

È importante che la Giunta regionale abbia deciso di impugnare le norme del decreto-legge 98/2011 sul dimensionamento scolastico, quelle che impongono la costituzione degli istituti comprensivi e l’accorpamento delle istituzioni esistenti in base al numero degli studenti (1000 o 500). Sono norme che stanno determinando situazioni paradossali e gestioni pesantemente inefficienti delle istituzioni scolastiche, di cui sono un evidente segno gli incarichi plurimi di dirigente scolastico. E’ importante che la Giunta regionale abbia approvato indirizzi per il dimensionamento scolastico che cercano di far fronte a questa paradossale situazione. Queste cose, però, ormai non bastano più. Tutti, credo, sentono una insoddisfazione per essere troppo al di qua del guado.

La Regione da tempo pone l’esigenza di dare piena attuazione al Titolo V della Costituzione, e su questo – secondo me – è bene mettere in campo un’azione decisa. Sappiamo che non è semplice, che il tema ha trovato soluzioni non sempre coerenti da parte della Corte Costituzionale, e che, infine, vi sono un grumo di problemi molto complessi da affrontare perché in gioco c’è anche l’attuazione del cd. federalismo fiscale, ci sono le funzioni fondamentali di comuni e province, ecc. Lucidamente, queste cose sono state messe in fila dal recente Rapporto 2010 dell’IRPET sull’istruzione in Toscana.

Però, penso che sia il tempo di elevare il contenzioso politico con lo Stato, perché l’azione regionale non è fatta solo di importanti risorse finanziarie che soccorrono il sistema locale e le scuole, è fatta anche di un essenziale contributo a sciogliere i problemi organizzativi della scuola, e dunque a dare certezze al sistema dell’istruzione pubblica.

Già: elevare il contenzioso politico, perché dell’attuazione del Titolo V al governo importa ben poco. L’ultimo NO pare sia venuto proprio di recente dal ministero, che comunque, sapendo di sposare una posizione insostenibile, ha costituito … un bel gruppo di lavoro!

In più, ritengo essenziale che la Regione pratichi pienamente il terreno dell’istruzione pubblica, e questo si fa solo se ci si sta dentro, se si acquisiscono competenze, se la cultura dell’organizzazione scolastica entra a pieno titolo nella vita della più importante istituzione della Toscana. Forse mi sbaglio, ma ritengo che in Toscana vi siano le condizioni per aprire una riflessione in più sui servizi erogati da comuni e province per la scuola, sulla sostenibilità o meno di un sistema con competenze frammentate tra scuola dell’obbligo e scuola secondaria di secondo grado. Abbiamo la capacità di trovare una nuova sintesi, nuove modalità di raccordo, o dobbiamo rassegnarci ad una latente conflittualità?

Nei passaggi più delicati, quando vengono in questione aspetti che incidono sulle strategie di fondo, il partito ha il dovere di sottoporre agli organi di governo regionale e locali problemi e domande che vengono dal confronto con la società e con le esperienze del territorio. Del resto, per noi, se assumeremo questa impostazione, non si tratta solo di sollecitare un impegno della Giunta regionale. Abbiamo da rivolgere la nostra azione anche a livello nazionale, contribuendo al dibattito generale del PD, e verso altri soggetti interessati, sindacali, associativi.

La Regione Toscana nel suo insieme ha, secondo me, l’esperienza e le qualità per affrontare il tema generale. E io penso che, a differenza del passato, c’è oggi bisogno di una legge regionale sull’istruzione, che migliori l’organizzazione pubblica e metta a profitto le cose importanti fatte finora. Che intanto definisca in modo organico il complesso delle azioni della Regione sulla scuola, e che apra la prospettiva di un più ampio disegno attuativo della Costituzione.

I temi che ho ricordato (battaglia contro questo governo, impegno deciso per l’edilizia scolastica, per la scuola dell’infanzia e per gli asili nido, per una scelta regionalista sull’organizzazione della scuola pubblica) non esauriscono il nostro impegno.

Un grande partito come il nostro non può rinunciare a svolgere una riflessione e una iniziativa sul ruolo degli insegnanti. Se ne parlerà in una sessione del Forum nazionale ad ottobre, ma intanto dobbiamo far sentire la nostra voce. E non possiamo tacere sulla grave situazione degli operatori ATA. I dati sono noti, come pure la volontà del ministro Gelmini di cancellare 67.000 posti docente e 33.000 posti ATA, con un provvedimento ora giudicato illegittimo e che ritorna alla valutazione delle Regioni. Mi aspetto che le Regioni si facciano sentire. La verità è che aumentano gli alunni e diminuiscono insegnati e amministrativi, e che ciò avviene con un governo del sistema del tutto inadeguato e al limite della improvvisazione. La verità è che aumenta il numero degli alunni per classe e in alcuni casi (le cd. classi-pollaio) con effetti disastrosi. Anche questo lo abbiamo stigmatizzato con una mozione approvata il 14 settembre dal Consiglio regionale su proposta del PD.

Tutto avviene in nome di una razionalizzazione che non si misura sulla qualità e sull’efficacia. Gli obiettivi della razionalizzazione, se non si alimentano di qualità, si riducono alla ricerca della mera riduzione della spesa e precipitano verso la consapevole de-scolarizzazione. Con il IV governo Berlusconi la miscela è diventata esplosiva. Rischiamo di perdere il meglio che abbiamo (la scuola primaria) e di abbattere definitivamente quello che avrebbe bisogno di maggiore innovazione.

A parte ogni considerazione sui metodi utilizzati normalmente per raffronti tra il nostro Paese e quelli dell’area OCSE e europei, il punto vero che è che la spesa complessiva per l’istruzione italiana non è per nulla squilibrata rispetto al PIL. Del resto, proprio in questi giorni l’OCSE è intervenuta ricordandoci a quale livello siamo:

-      diplomati tra i 25 e i 34 anni: Italia 70,3% – paesi OCSE 81,5%; aumentiamo nelle classi più adulte, diminuiamo addirittura tra i giovanissimi;

-      laureati delle classi giovani: Italia 32% – paesi OCSE 38,6%

-      spesa per l’istruzione scolastica e universitaria: Italia 4,8% del PIL – paesi OCSE 6,1% del PIL (su 34 paesi siamo 29esimi);

-      stipendi più bassi per gli insegnanti.

La replica della Gelmini non si è fatta attendere, ripetendo la litania del numero degli insegnanti per alunno, che in Italia è più alto sia della media OCSE che della media italiana. Eccola l’ossessione, unica, decisiva, qualificante tutto l’operato di questo governo. L’ossessione che ha fatto dare pirotecnici giri di numeri dai propagandisti governativi, arrivati perfino ad usare false cifre sui bidelli e a gridare che questi sono più dei carabinieri!

Un giorno spero, qualcuno farà i conti giusti, e dirà che nei nostri conti ci sono insegnanti che altrove non ci sono, come quelli di religione, come quelli per il sostegno ai disabili, questi ultimi destinati a crescere, e spiegherà che in Italia c’è un tempo scuola per ragazzi molto più elevato che altrove.

Il tempo scuola, la scolarizzazione, la de-scolarizzazione. Ogni ipotesi di razionalizzazione, che a noi non fa paura e che vogliamo porti a migliorare (pensiamo al ruolo delle nuove tecnologie) non a perdere la scuola, deve fare i conti con lo scenario che vogliamo immaginare per il futuro.

Se noi vogliamo seguire scenari di ri-scolarizzazione dobbiamo puntare su altre politiche rispetto a quelle messe in campo dalla destra italiana. Un buon governo si rimbocca le maniche e si mette a lavorare per la scuola! Un buon governo sa anche trovare la strada per un giusto rapporto tra la scuola pubblica e quella paritaria, sa cosa vuol dire la scuola paritaria dell’infanzia e come essa contribuisce, in un intenso rapporto di collaborazione con il pubblico e con la condivisione degli obiettivi pedagogici, al diritto all’istruzione dei bambini. Un buon governo sa qual è l’interesse da tutelare, e cosa significa la scuola per tutti. Un buon governo non taglia borse di studio (solo in Toscana quest’anno mancheranno 3 milioni!) e lascia nell’incertezza enti locali e famiglie sui buoni libro.

Sciorinare numeri non è il mio forte, e ammetto che i numeri in mano ai politici rischiano sempre di essere manipolati.

Mi appoggio allora a quelli dell’IRPET del rapporto 2011 che ho già citato, e che raccontano di in gap tra Italia e Europa ancora lontano da essere colmato, con alti divari di scolarizzazione superiore (in Toscana andiamo un po’ meglio che in Italia, siamo al 77% dei ragazzi tra i 20 e i 24 anni) e di abbandono precoce della scuola. In Toscana, in tutti i cicli scolastici, aumentano le classi (+7,5% in dieci anni) ma molto meno degli iscritti (13%), eppure quell’aumento è dovuto alle sezioni di scuola dell’infanzia (+20%  rispetto al +26% di iscritti), mentre il divario tra classi e iscritti è forte nella scuola primaria (+2,4% classi, +12,7% di iscritti).

L’IRPET ha misurato anche il rendimento scolastico, segnalando che il 94% dei diplomati nei licei prosegue gli studi, che si mantiene alto il numero dei diplomati tecnici che vanno all’università (56%), mentre il 68% dei diplomati ai professionali interrompe gli studi dopo il diploma.  Il sistema economico toscano premia di più i diplomati tecnici e professionali, ma questi ultimi – a differenza dei primi – trovano lavoro in attività che richiedono semplicemente la scuola dell’obbligo.

L’istruzione tecnica in Toscana subisce negli ultimi anni minore attrazione dei giovani, e soprattutto nelle aree urbane industriali, dove invece prevalgono scelte in favore dei licei.

Di rilievo sono poi i dati sulla presenza dei ragazzi stranieri nelle scuole secondarie (sono il 7,8% del totale), presenza che però è inferiore a quel 10% che sono tutti i ragazzi stranieri rispetto ai coetanei toscani. Gli studenti stranieri preferiscono gli istituti professionali (qui sono il 15% del totale), mentre sono poco presenti nei licei. Le migliori chances di inserimento lavorativo sembrano essere nelle aree urbane distrettuali.

Nell’ultimo anno è cresciuta, complessivamente, la nostra popolazione scolastica, che arriva a 463.666 alunni, 790 in più nella scuola dell’infanzia, 873 in più nella primaria, 1.846 nella secondaria di primo grado, 2.112 in quella di secondo grado. 3.000 insegnanti sono stati tagliati in due anni e 700 lavoratori ATA. Più puntualmente, i dati della CGIL toscana rivelano che dall’anno scolastico 2009/2010 all’a.s. 2011/2012 sono stati tagliati 5942 posti, 3757 docenti e 2185 ATA. 69 sono le direzioni scolastiche destinate ad essere soppresse. I dirigenti scolastici non vengono rinominati. Sono cifre importanti, che ci fanno preoccupare di cose avverrà in quest’anno e nei prossimi della scuola toscana, di quella delle città e soprattutto di quella delle zone montane.

Il ministero dell’istruzione pubblicizza in questi giorni 66.300 stabilizzazioni. Però tutti sanno che sono numeri sulla carta e che il processo di stabilizzazione avviato con il governo Prodi (e che oggi sarebbe concluso con successo) è ormai fortemente compromesso dalle iniziative della Gelmini.

Si discuterà ancora per qualche giorno di questi ed altri dati, la battaglia dei numeri è sempre sulle pagine dei giornali. Poi verrà la realtà, la resa dei conti vera, le difficoltà di gestione, i problemi di organizzazione quotidiani. La crisi finanziaria può fare il resto, se al governo resta questa classe dirigente dei fatti propri. Ma infine la Gelmini se ne andrà, e se ne andrà Tremonti e il capo padrone. Toccherà ad una nuova classe dirigente, toccherà al centro sinistra rimettere insieme i cocci, ricominciare a governare.

Si batte per sopravvivere, la scuola pubblica italiana!

C’è in giro una specie di de-costituzionalizzazione della scuola, che dovrebbe essere garantita a tutti e così non è. Come non c’è più il tempo pieno, quello vero, quello con le 40 ore che rispondevano prima di tutto ad una coerenza formativa. Non quello della propaganda governativa. Si accorpano scampoli di ore a più insegnanti, si frammenta l’offerta formativa, il maestro unico è un fallimento. Se non c’era la Corte Costituzionale, gli insegnanti di sostegno potevano starci o no, decideva Tremonti. Un taglietto di 8 miliardi di euro dal 2008, con i finanziamenti sulla legge per l’autonomia che passano da 258 milioni del 2001 a 88 milioni del 2011. Fondo di funzionamento ordinario azzerato nel 2009, ricostituito nel 2010 solo dopo i ricorsi. Quasi completa soppressione delle scuole serali. Coperta corta per gli studenti, che in assenza di insegnanti vanno in soprannumero in altre classi. Difficile combattere la dispersione scolastica. Mancano le risorse per pagare le ore di recupero degli studenti con debiti formativi (da 200 milioni nel 2007 si passa a 27 milioni di quest’anno). Chi copre la necessità di istruzione sulla lingua inglese?

Ogni volta che faccio mente locale su queste cose mi chiedo in nome di cosa sono state pensate e realizzate. Non so voi, ma io ci vedo solo una pervicace volontà di farla finita, una volta e per tutte, con la scuola pubblica, con la scuola di tutti. Il fatto è che non hanno nemmeno uno straccio di idea sulla scuola dei pochi, su quella competitiva, su quella della futura classe dirigente. Non hanno uno straccio di nulla …

Io ho concluso la lettura dei miei appunti. Se in alcuni momenti vi ho dato l’impressione dello scoramento (perché, lo confesso, a volta ti prende, e soprattutto quando al mondo della scuola senti di aver dato qualcosa di te stessa, al pari di tanti insegnanti e operatori), allora devo dirvi che non è così, non deve essere così. La battaglia per la scuola è apertissima, e il nostro compito è di tenerla sempre aperta, nonostante le Gelmini e i Tremonti. Tenerla aperta e rafforzarla perché deve essere vinta. Per me, per noi, il futuro della scuola è parte integrante di una nuova politica, più mite, più onesta, più concreta.

Dopo questo incontro organizzeremo altri momenti di riflessione tematici, aperti al contributo di tutti i soggetti interessati, anche riproponendo su scala regionale gli argomenti su cui è impegnato il Forum del PD sull’istruzione.

Vi invito, perciò, a dire la vostra, ad arricchire questa consapevolezza, e a farlo con l’esperienza e la voglia di cambiare che ci appartiene e che non ci abbandonerà mai.

Elezioni regionali 2010 – Incontro con Rossi e Marino

Buonasera a tutti,

la campagna elettorale per le regionali è entrata in una fase cruciale. Mancano due settimane al voto del 28 e 29 marzo. Noi a votare ci andremo, e voteremo Enrico Rossi presidente e Partito democratico. Lo faremo per la Toscana e per l’Italia.

Sappiamo che il 28 e il 29 marzo si decidono le sorti delle nostre Regioni, ma anche che da queste elezioni può giungere un messaggio politico nazionale.

Non so se ci riusciremo, non so se l’Italia è matura per questo passaggio, ma io credo che ormai l’obiettivo delle forze progressiste e democratiche deve essere la fine del dominio berlusconiano. Berlusconi se ne deve andare, prima possibile e con il minor danno possibile per le istituzioni della Repubblica. La cosa pubblica deve tornare ad essere il patrimonio dei cittadini, dei cittadini elettori, dei cittadini lavoratori, dei cittadini e basta. È un programma politico questo? Direi di si. L’emergenza democratica è al suo limite.

Dire questo non significa solo contestare le espressioni dirette di questo dominio, abbandonando il terreno delle cose concrete da fare. Significa però che ogni nostra azione deve tenere conto di questa emergenza democratica. Governare una Regione o un Comune, ad esempio, richiede una specifica capacità di rispondere ai problemi concreti dei cittadini, e anche mettersi in relazione con le istituzioni statali, con il Governo e con il Parlamento, e spingerli a confrontarsi con questi problemi. L’importante è non abbassare mai la guardia, non concedere nulla al quieto vivere.

Viviamo un periodo molto aspro e difficile, ma siamo in grado di interloquire con tutti ogni volta che si manifesta nel campo avverso una disponibilità a discutere, come è avvenuto in questi giorni – ad esempio – sulla legge per le cure palliative. Perfino sull’immigrazione o sul testamento biologico ci sono posizioni che nell’altro campo meritano la nostra attenzione, anche se – mi pare – finora non si sono manifestate con la dovuta intensità. L’importante è non cedere alla tentazione di chiudere un occhio, e chiamare invece i cittadini a partecipare con ogni mezzo a disposizione, sia un referendum, una legge di iniziativa popolare, una forma di democrazia deliberativa, una libera manifestazione di idee e di opinioni. Questo dobbiamo fare: riempire lo spazio pubblico di buona politica.

Sabato molti di noi erano a Roma e quella piazza unitaria e colorata ha mandato all’Italia un messaggio di speranza. Perfino un appello – che abbiamo sentito nelle parole di Emma Bonino – alla necessità di ripristinare un po’ di decoro istituzionale. Si è infatti superato ormai il limite della decenza.

Noi non abbiamo solo protestato contro Berlusconi. Abbiamo detto agli italiani che c’è una parte di questo Paese, sempre più grande, che tiene alla democrazia e non si fa intimidire. Non possiamo tacere, non possiamo minimizzare. L’aggressione autoritaria di Berlusconi e della destra a tutte le istituzioni repubblicane, alla libertà di stampa, all’opposizione, non passerà sotto silenzio. E non passerà sotto silenzio lo squallido intreccio di interessi privati che emerge dalle indagini sulla corruzione, al cui centro vi è il sistema di potere e la cricca degli uomini della destra berlusconiana.

Continueremo a combattere il progetto di regime che si rintraccia nei gesti e nelle parole del novello sultano, e lo faremo con le nostre armi, democratiche e non violente: la protesta appunto, l’opposizione parlamentare, il funzionamento della democrazia delle Regioni e delle città, e poi il voto.

Protesta, voto, partecipazione civile: noi siamo per la politica che fa bene. Per la politica per la quale vale la pena impegnarsi, perché risponde al nostro bisogno di moralità delle istituzioni pubbliche e di chi è chiamato a governarle. Per la politica che agisce per il bene pubblico, e non per gli interessi privati. Per la politica che sa essere laica, perché è fondata sul rispetto di tutti e sa decidere sulla base del bene comune. Per la politica che sa impegnarsi ad affrontare e risolvere i problemi dei cittadini e della società contemporanea: il lavoro, l’ambiente, la sanità, la scuola pubblica, i diritti civili, l’immigrazione, la giustizia, la ricerca. Mi piacerebbe che i nostri interlocutori dicessero la loro su questo concetto, sul contributo che si sentono anche personalmente di dare per realizzare la politica che fa bene.

Il nostro dibattito sulla Toscana e sull’Italia parte da qui. Come toscani abbiamo il vantaggio di affrontarlo da un ottimo punto di partenza, che si vede nella qualità della vita raggiunta, grazie allo spirito dei toscani e ad una esperienza politica e amministrativa molto positiva. Ma sappiamo che la Toscana non può restare ferma al suo passato e nemmeno accontentarsi del suo presente. Noi sappiamo che il benessere conquistato si difende solo con altri cambiamenti.

In questo percorso che vogliamo fare abbiamo dei formidabili avversari, e il primo è questa destra, toscana e italiana. Qui da noi è la quintessenza della conservazione. A livello nazionale, invece, le indagini di queste settimane sui grandi eventi dimostrano il tipo di ambizioni che ha la destra verso la Toscana.

Ma veniamo alle cose da fare. Rinuncio alle elencazioni generali e vi sottopongo solo alcuni temi usando spunti di cronaca recente.

I bambini degli immigrati irregolari (secondo una recente sentenza della Cassazione) non dovrebbero avere accesso ai nostri nidi e alle nostre scuole dell’infanzia. Applausi dalla destra. Giusta reazione dei Comuni, in primo luogo del Comune di Firenze. Questo episodio meriterebbe molte considerazioni, anche legate alla mia precedente esperienza amministrativa, che però non ho il tempo di fare. Cito invece questo episodio perché sia Ignazio Marino sia Enrico Rossi hanno sostenuto – mi pare – un’idea profondamente diversa, secondo la quale anche l’immigrato irregolare deve avere una possibilità di regolarizzazione. Se è vero che siamo interessati ai percorsi di integrazione, che senso ha espellere una famiglia di immigrati che manda i bambini a scuola, e che lavora e cerca di lavorare legalmente?

Secondo episodio. C’è una fabbrica in Toscana, a Foiano della Chiana, che è stata salvata dai suoi operai, ha commesse per svilupparsi ma non riesce ad accedere al credito. Come si fa a sostenere che questa fabbrica? Quanti casi sono come questi? I dati della crisi economica sono noti: giù il prodotto interno lordo, su il debito pubblico, giù la disoccupazione, su la pressione fiscale. Nessun intervento sui lavoratori precari. Indebolimento del lavoro con l’arbitrato sul licenziamento. Questo “porta a casa” il governo del fare della destra.

In questi giorni l’Anci Toscana ha sollevato, tra gli altri, il tema delle strutture scolastiche. Non dobbiamo sottovalutare questo argomento a tutti i livelli. Mentre dedichiamo – giustamente – la nostra attenzione alla scuola dell’autonomia, alla qualità dell’offerta formativa, alla riforma degli ordinamenti, dobbiamo ricordarci che il primo impegno delle istituzioni è di avere scuole pubbliche degne di questo nome. E indegna è quella scuola quelle che richiede – per andare avanti giorno dopo giorno – il contributo delle famiglie (perfino per l’acquisto della carta igienica!). Fatevelo dire da chi si è occupata di servizi e di progetti didattici ma non ha mai mollato sulle strutture e le attrezzature, dalle ristrutturazioni ai nuovi edifici scolastici, alle mense. La scuola pubblica si difende prima di tutto così.

Grande assente in questa campagna elettorale è il tema dell’energia. Perché il governo non dice in campagna elettorale dove vuole mettere le centrali nucleari?

In questi giorni la Camera dei deputati è intervenuta nuovamente sugli enti locali. Sempre alla Camera si sta avviando la discussione sul cd. disegno di legge Calderoli sulle funzioni degli enti locali, e entro l’estate si attende l’adozione dei decreti legislativi sul cd. federalismo fiscale. Insomma: qui sta per cambiare tutto nell’assetto istituzionale locale. Serve una strategia generale, ed io credo che il centro sinistra può e deve rimettere in campo una autonoma strategia istituzionale complessiva, che guardi ai rami alti (Costituzione e sistema elettorale) e ai rami bassi del sistema (sistema delle autonomie), con spirito innovativo ma anche senza farsi incastrare nella vulgata contro le istituzioni della democrazia, contro il parlamento, contro le assemblee elettive, contro le istituzioni di controllo. Altrimenti passa un’idea populista, tutta incentrata sui costi della politica, che sì vanno abbattuti ma dentro una idea progressiva e aperta di nuova democrazia, fatta di trasparenza, partecipazione e decisione.

Infine, il dibattito sulla Toscana e sull’Italia non può prescindere dal sistema dei diritti civili. La Toscana è interessata a questo dibattito e a ciò che si decide su temi come il testamento biologico, la lotta all’omofobia, l’espansione dei diritti civili per gli individui e le famiglie di fatto. La Toscana è una società aperta e deve provare a restare tale, anche combattendo le tentazioni di chiusura che ci vengono da fuori di noi. Se non noi, chi altri può sostenere questo impegno?

Chissà quante altre cose sono venute in mente a voi …

Nelle campagne elettorali – in effetti – tendiamo ad evocare sempre tutti i temi della politica, e questo a maggior ragione in occasione di elezioni regionali. Discussioni come quella che facciamo stasera vogliono provare ad esprimere questo intreccio, anche se magari le cose le solleviamo da un particolare punto di vista. Non poniamo, perciò, alcun limite al discorso dei nostri ospiti, a cui invece rivolgiamo l’invito a dirci il loro pensiero. Delle cose che diranno faremo tesoro nel prossimo futuro, perché sappiamo che una elezione è importante e decisiva, ma che l’impegno per cambiare l’Italia non si ferma al voto.

Molti di noi si impegneranno nei prossimi mesi in diverse direzioni, convinti di dare un contributo alle battaglie del PD e del centro sinistra. In questo senso, la discussione di stasera è bi-direzionale. Vi ascoltiamo e sappiamo che ci ascolterete. Al racconto di Ignazio Marino sul suo impegno politico e parlamentare e a quello di Enrico Rossi sul suo impegno per governare la Toscana aggiungiamo il racconto di ciascuno di noi – che testimonieremo in alcuni brevi interventi – per dire quello che abbiamo in animo di fare dopo il voto. Dopo questo voto, che vogliamo porti alla Toscana e all’Italia una nuova speranza di futuro.

Diritti sociali, libertà, valori costituzionali, laicità

Diritti sociali, libertà, valori costituzionali, laicità

Circolo Vie Nuove – 22 maggio 2009

Introduzione di Daniela Lastri

Riflettevo, mentre preparavo questa introduzione, sul rumore assordante della retorica che il centro destra ha messo in campo in queste settimane. Non dobbiamo abituarci a questa retorica, anzi dobbiamo contrastarne tutti i contenuti: non è poi così lontano il tempo in cui dovremo essere pronti a lanciare la nostra sfida, e decisivo sarà il terreno dei diritti sociali, delle libertà, dei valori costituzionali, della laicità.

La sfida di oggi riguarda il governo locale, che però è parte del nostro discorso generale.

Sentiremo qui tra poco Francesca Chiavacci e Gianni Cuperlo, da cui vogliamo sentirci confortati di un impegno loro – in prima persona – per far affermare le nostre idealità comuni, renderle fatto concreto nella vita delle istituzioni locali e nazionali dove lavoreranno o già lavorano. Questo mi aspetto da chi come Gianni ha un ruolo importante nel PD e da chi, come Francesca, pur non facendo parte del PD, assume questo partito come riferimento essenziale della costruzione di una politica riformatrice e di progresso. Dobbiamo unire i democratici, ovunque si trovino.

Io voglio dire, introducendo questo incontro, solo poche cose.

E’ giunto il tempo di lanciare una sfida più forte sui diritti sociali. Il cuore di questa sfida è nella proposta di dotare questo Paese di una misura generale contro la povertà. Franceschini ha chiesto l’assegno per i disoccupati; noi dobbiamo andare avanti, fino a promuovere una legge di iniziativa popolare sul “reddito di ultima istanza” e sulle misure di protezione dei soggetti più deboli: non autosufficienti e persone con handicap grave.

Allo stesso modo, dobbiamo far crescere e rafforzare il movimento per l’istruzione pubblica. Il PD e i suoi eletti nelle istituzioni, ma anche le amministrazioni locali che stiamo andando a rinnovare, devono, ciascuno per ciò che li riguarda, essere una punta di diamante di questa ripresa delle coscienze sulla speranza di futuro, di cui l’istruzione è la leva più importante. Non abbiamo bisogno di dire solo dei no. Abbiamo bisogno di far crescere tra la gente, tra gli operatori, tra le famiglie, proposte avanzate che danno il senso della qualità sociale che sentiamo necessaria per questo Paese. Per questo, la nostra petizione sulla scuola deve essere meno silenziosa, più gridata, più efficace, più in grado di arrivare all’intelligenza e alla vita delle persone.

La vita e il futuro delle persone: ecco il nostro assillo quotidiano. Ed è questo assillo che motiva l’impegno sulle libertà. Perché le persone non sono fatte di pezzi separati. La separazione della condizione umana e della coscienza, la frantumazione dell’essere distrugge la vita attiva, e riduce la partecipazione a fatto occasionale. Le persone che dobbiamo chiamare ad un nuovo impegno devono invece essere integre, nei loro bisogni materiali, nella loro speranza di futuro, nella loro ricerca di libertà individuale. No: né la procreazione assistita, né il testamento biologico, né la libertà di espressione devono far parte di un’agenda separata della politica dei Democratici. I diritti sociali e le libertà compongono lo stesso puzzle della politica attiva, della partecipazione, dell’impegno civile.

Cosa fa invece Berlusconi? Separa, spezzetta, e per questa via costruisce infinite relazioni individuali con i pezzi della nostra identità divisa. Non ha problemi di coerenza. Ha trovato la strada per parlare al suo Paese reale, che in effetti reale lo è, perché ormai dentro di noi albergano tante pulsioni, e sono queste ad essere di volta in volta sollecitate. Vuole che riposi invece la coscienza politica, il senso di appartenenza ad una comunità attiva. Prendiamo le ronde. O i respingimenti. O l’ultima invenzione della legge di iniziativa popolare contro il Parlamento. Tutto parla la stessa lingua: il Governo (meglio se il Capo del Governo) e i singoli devono avere lo stesso passo, perché tutto il resto rema contro. Le ronde sono la soluzione, non le forze di polizia. I respingimenti sono la soluzione, non il diritto internazionale o il senso si umanità collettiva. Cento parlamentari bastano, tanto cosa c’è da fare? Al Parlamento, in fondo, basta esprimersi su quel che vuole il Governo!

 

Il Paese a cui parla Berlusconi potrà anche essere il Paese reale emergente, ma non è il Paese che noi vogliamo. Ha ragione Franceschini: le nostre posizioni le prendiamo anche se apparentemente non hanno una immediata resa elettorale. Il Paese che vogliamo sta dentro l’altra parte di ognuno di noi, nella coscienza positiva, nel lato della nostra più viva umanità, nella parte razionale di noi stessi, quella che conserva la memoria del passato, che sa emozionarsi di fronte ad un bambino immigrato, che è gelosa della libertà conquistata dai nostri padri. E’ l’altro Paese reale che c’è, e a cui vogliamo e dobbiamo parlare con linguaggio sincero e pulito del futuro che vogliamo, e che troverà la forza di emergere se non lo faremo perdere nelle sabbie mobili della cattiva politica.

Nelle prossime elezioni amministrative c’è molto in gioco, lo sappiamo. Sull’amministrazione locale passa una linea di demarcazione che, ridotta all’osso, può dirsi così: la destra punta sull’inutilità delle istituzioni locali, e tende ad acuire questa percezione da parte dei cittadini (c’è il Governo, che altro si vuole?); la sinistra punta sulla essenzialità delle amministrazioni locali come strumento nelle mani dei cittadini per promuovere diritti sociali, libertà, partecipazione. La sostanza è questa. E la vedremo tra non molto, quando verranno in discussione i decreti legislativi di attuazione del cosiddetto federalismo fiscale (legge 42 del 2009). Cosa credete che avverrà? Faccio questa previsione: il Governo, che da tempo sostiene che la spesa locale è eccessiva, proporrà di individuare i fabbisogni e gli standard dei servizi al livello più basso. Sta già avvenendo. Ed è a questa visione minima dello stato sociale locale che dobbiamo opporci, con un voto che tenga aperta una prospettiva diversa.

Io ho una prospettiva diversa. Il PD ha una prospettiva diversa.

Ragionando di Firenze, ho più volte detto che dovrà essere la città dei diritti, il luogo elettivo dei diritti delle persone. Dove si discorre dei diritti nell’epoca della globalizzazione e dove si costruiscono buone pratiche volte ad affermarli, con infrastrutture materiali adeguate, esperienze innovative di rapporto pubblico-privato, rispetto dell’autonomia dei singoli, politiche universalistiche, programmi e azioni positive.  I percorsi della città dei diritti sono la spinta positiva per rafforzare la fiducia e contrastare la paura, e per affrontare con consapevolezza le difficoltà del presente.

Io penso che abbiamo tanto da dire. Cerchiamo di farlo mettendoci tutta la nostra forza e il coraggio delle scelte.

Credo che lo faremo, sono sicura che la prossima amministrazione di centro sinistra lo farà, con la sensibilità e la voglia di fare che contraddistingue il candidato Sindaco. Contiamo ci stupisca – nel meglio – anche su questo.

Ma per farlo abbiamo bisogno di energie come quelle di questa sera. E allora contiamo su di loro e su tutti i nostri candidati, già consiglieri e nuove proposte, che vogliamo coesi e fortemente motivati a fare bene.

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