La scuola sono anch’io. Idee e proposte per un’educazione inclusiva

Empoli, 26 aprile 2012 – Introduzione di Daniela Lastri.

Voglio ringraziare il PD di Empoli e del circondario empolese che ospita questo nostro incontro, che fa parte del percorso che ci siamo dati in vista della nostra conferenza programmatica regionale. Dal primo convegno del 17 settembre 2011, ai due incontri sulla disabilità nella scuola e sull’edilizia scolastica, oggi siamo qui a discutere di immigrazione e poi, tra qualche settimana, il 18 maggio a Prato, concluderemo il nostro itinerario con una riflessione sulla dispersione scolastica.

C’è un filo che conduce questa nostra riflessione: la volontà di far emergere i punti più critici della vita della nostra scuola, e di fare in modo che il PD mantenga un’attenzione molto forte sulla scuola, e questo si traduca in azione politica, nelle istituzioni che governiamo oggi e che siamo destinati a governare nel prossimo futuro.

La scuola, il PD e il governo Monti

Intervento alla conferenza programmatica del PD metropolitano – Firenze, 30 marzo 2012

Giorni importanti, questi. Per il Paese e per il PD.

Lo sono per noi che siamo qui, perché crediamo che ritrovarci a discutere insieme è una cosa a cui non possiamo rinunciare. Oggi non dobbiamo approvare documenti o mozioni. Oggi ci esercitiamo ad ascoltarci, e ad ascoltare attraverso le nostre parole quello che si muove intorno a noi. Leggi oltre →

Nessuno sia escluso. La scuola è di tutti

PD Toscana – Gruppo regionale del PD

Garantire i diritti degli alunni disabili. Esperienze e buone pratiche In Toscana

Nessuno sia escluso. La scuola è di tutti

Consiglio Regionale, Sala delle Feste – 19 gennaio 2012 – Firenze

Introduzione di Daniela Lastri

Benvenuti a questo nostro incontro e grazie fin da ora per il contributo che ci darete.

Questa iniziativa del PD e del gruppo regionale toscano prosegue l’impegno che abbiamo avviato qualche mese fa, il 17 settembre del 2011, e si inserisce in un denso programma che vogliamo realizzare in vista della conferenza programmatica.

All’incontro di settembre “La scuola, il nostro primo bene comune” avevamo preso l’impegno di dare continuità alla nostra azione politica. Oggi ci occupiamo del diritto all’istruzione degli alunni con disabilità, per innalzare la nostra attenzione collettiva di dirigenti politici, amministratori, operatori. Abbiamo bisogno, credo, di una presa di coscienza della realtà, di convincere di più noi stessi, le nostre amministrazioni, il PD che bisogna fare di più e meglio.

Abbiamo impostato questo seminario in modo da raccogliere tante voci sulle esperienze in corso, sui problemi che si incontrano per realizzare il diritto all’istruzione di tutti, e su come costruire una prospettiva nuova. Oltre l’inserimento, per l’integrazione e la piena inclusione.

Non è un’operazione scontata. Sulla disabilità e sui disturbi specifici di apprendimento l’Italia ha leggi tra le più avanzate d’Europa. Eppure è sempre sul punto di fare marcia indietro. Il pericolo si avverte oggi più di prima, visto che siamo nel pieno di una crisi finanziaria che rischia di travolgere il nostro stato sociale. C’è voluta una sentenza della Corte Costituzionale, la sentenza n. 80 del 2010, per rimettere le cose in ordine e riaffermare che “il diritto del disabile all’istruzione si configura come diritto fondamentale”, e che pertanto ogni limitazione del numero di insegnanti di sostegno e l’eliminazione della possibilità di assumerli “in deroga” sono in contrasto con il quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario.

Del resto, sappiamo che la nostra spesa pubblica ha più un problema di qualità che di quantità. E che la scuola che vogliamo partecipa pienamente a questo discorso sulla qualità, rappresentando un potente fattore di sviluppo civile, sociale ed economico.

Dietro ogni alunno che si perde, dietro ogni fallimento dell’integrazione, si annidano costi sociali elevati, che siamo destinati a pagare in termini di benessere, salute, civiltà, sistema di diritti e di opportunità. Per tutti.

Per questo, come dicevo, insisteremo nei prossimi mesi a parlare di scuola, e soprattutto di lotta alla dispersione scolastica, di edilizia, di accoglienza e integrazione degli alunni stranieri, di servizi educativi per i bambini da 0 a 6 anni. Per poi concludere questo percorso con una occasione di discussione generale sulla scuola del futuro.

Continuo a pensare, infatti, che la Regione Toscana debba dotarsi di una nuova e più compiuta legislazione sull’istruzione, cogliendo tutte le opportunità che offre il nuovo quadro politico nazionale.

Non voglio occupare troppo tempo, anche perché – come dicevo all’inizio – questo nostro seminario è dedicato a dar spazio agli interventi dei nostri ospiti. Mi limito a qualche considerazione.

La prima è che dall’incontro di settembre ad oggi lo scenario politico è completamente mutato.

Abbiamo un nuovo Governo, abbiamo nuove sensibilità, ed è fondamentale che, così come si interviene su molti settori della vita del Paese, vi sia una chiara svolta anche in quello dell’istruzione.

Noto che sta maturando una presa di coscienza generale, e considero non casuale che nelle ultime settimane sulla stampa nazionale si siano moltiplicate le riflessioni sul ruolo che l’istruzione deve giocare, e soprattutto sul fatto – per noi assolutamente chiaro – che l’istruzione è un investimento. Anzi, è l’investimento per eccellenza. Se dopo Salva Italia si vuole fare Cresci Italia, allora non vi è dubbio che l’istruzione e la scuola devono assumere un ruolo centrale nelle politiche nazionali.

Se vi ricordate, nello scorso convegno avevamo dato quattro priorità, e la prima era “ridare la libertà al Ministro Gelmini”. Ebbene, la Gelmini è finalmente liberata di ogni incombenza, e non è poco.

Gli effetti negativi delle sue politiche sono purtroppo ancora presenti, e non sarà facile liberarcene. Lo vediamo proprio sul tema dell’incontro di oggi. Le famiglie, le istituzioni scolastiche, gli enti locali lo avevano ripetutamente denunciato: la diminuzione delle ore assegnate al sostegno degli alunni disabili colpisce diritti fin qui garantiti dalle leggi del nostro Paese, il modello italiano rischia di perdere qualità.

La Toscana non fa eccezione. Aumentano gli alunni disabili, passati in un solo anno da 9.915 agli attuali 10.202. L’organico “di fatto” dedicato al sostegno è rimasto invariato, e solo grazie ad un importante coordinato intervento della Regione e dell’Ufficio scolastico regionale si è attivata un’azione di sistema per far fronte alla nuova realtà delle cose. Un maggior numero di alunni disabili toscani, così, potrà ricevere le risposte che chiede.

Sarà la Vicepresidente Stella Targetti a entrare nel merito di questo provvedimento, e delle prospettive di lavoro futuro che esso è in grado di aprire.

Gli altri interventi daranno conto di quali risposte i territori sono riusciti a offrire, dei problemi affrontati, delle difficoltà ma anche dei successi ottenuti. E facciamo bene a tener conto di una domanda sociale che si fa sempre più forte e qualificata, e che si esprime non solo nei ricorsi delle famiglie ma anche in tante prese di posizione di associazioni e gruppi di cittadini, cui spesso si affianca l’adesione di organizzazioni del Partito Democratico. Il grido di allarme va ascoltato.

Elaborazioni, contributi, proposte innovative vengono anche da studiosi, fondazioni, Onlus che operano nel settore, dai quali viene una spinta a non perdere la qualità delle esperienze condotte, anzi a rafforzarle e a migliorarle, superando gli aspetti che si sono rivelati nel tempo più critici, come:

-       un certo approccio prevalentemente medico (per quanto comunque decisivo);

-       l’eccessiva mobilità degli insegnanti di sostegno;

-       il numero eccessivo di scuole prive di insegnate con specializzazione per il sostegno;

-       l’insufficiente coinvolgimento degli insegnanti curricolari;

-       la situazione di isolamento in cui vengono a trovarsi ancora troppe famiglie con ragazzi disabili;

-       il numero troppo elevato di casi di abbandono della scuola (famiglie svantaggiate, famiglie che la scuola non riesce a mettere a loro agio, famiglie straniere, famiglie sfiduciate, disabilità molto grave)

Eppure, la Toscana ha un patrimonio di buone pratiche che dobbiamo mettere a frutto, che dobbiamo saper generalizzare, superando incertezze che pur ci sono. Non dobbiamo temere di investire nella tutela sociale degli alunni disabili. E dove possiamo migliorare nel lavoro coordinato delle amministrazioni coinvolte, le USL, i comuni, le scuole, dobbiamo osare.

A me preme oggi sottolineare come, anche in questo caso, (ricordo quanto fatto anche per le sezioni della scuola dell’infanzia) la Regione Toscana interviene su materie non direttamente sue, al limite delle competenze dello Stato o addirittura attualmente di esclusiva competenza statale, con risorse proprie e con idee proprie. Ecco, questo di avere idee proprie, che riescono a radicarsi nell’amministrazione regionale, a diventare modo normale di operare, è il segreto per sviluppare una nuova dimensione dell’impegno regionale. Più sentiamo le cose della scuola come nostre (anche nostre, anche nella nostra responsabilità), più riusciamo ad operare bene. Sentirle nostre non vuol dire cavare le castagne dal fuoco allo Stato, che resta il primo soggetto responsabile del buon funzionamento delle scuole, almeno fin quando la Regione non assumerà in pieno i compiti che la Costituzione le affida. Vuol dire sentirsi parte di un grande problema sociale. Perciò, penso che abbiamo fatto bene a scegliere di intervenire sul problema degli alunni disabili, per la rilevanza della questione in sé e per sperimentare le nostre capacità.

Testimonia questa volontà anche il fatto che, in sede di approvazione della legge di bilancio, il Consiglio regionale all’unanimità ha voluto dare un ulteriore importante segnale, impegnando la Giunta a prevedere, in sede di predisposizione della prima variazione di bilancio 2012, un milione di euro aggiuntivi da trasferire agli enti locali per sostenere e rafforzare il servizio di trasporto degli alunni disabili. Noi abbiamo chiesto che non sia un intervento episodico, ma che rientri nella previsioni di spesa anche per il 2013 e 2014. Diventi cioè una spesa strutturale e non una tantum.

Copriamo così, con i due interventi descritti, entrambi i fronti del problema degli alunni disabili: l’intervento attivo sulle scuole e quello sui servizi sociali locali.

Ci avviciniamo così concretamente, seppure ancora a piccoli passi e con una impronta sperimentale, al disegno più complessivo di dare attuazione al Titolo V della Costituzione e, quindi, a proseguire nel processo di regionalizzazione dell’istruzione. Su questo punto il  Governo sarà messo alla prova. Come PD toscano insistiamo su questo aspetto perché siamo consapevoli che l’azione regionale – alla lunga – non può reggere con risorse finanziarie che “soccorrono” il sistema locale e le scuole: soccorrere le scuole è impresa lodevole e meritevole di plauso pubblico e di alta considerazione politica, ma poi, per essere veramente efficace, non può che svilupparsi con un essenziale contributo a sciogliere i problemi organizzativi della scuola, e dunque a dare certezze al sistema dell’istruzione pubblica.

Assumere questa visione, questa prospettiva di medio periodo, ci permette di entrare con ancora più autorevolezza nel merito dei temi, anche se su terreni difficili e complessi come quello che oggi poniamo alla nostra attenzione.

Siamo consapevoli che non possiamo affrontare questo tema da soli. Per questo abbiamo chiesto un contributo di idee e di esperienze a voi, amministratori locali, dirigenti e insegnati, operatori del volontariato.

Le difficoltà che si sono riscontrate quest’anno a proposito dell’inserimento degli alunni disabili e che hanno portato ai provvedimenti regionali di cui abbiamo accennato, saltano ancor più alla nostra attenzione se si pensa che i principi ispiratori della legislazione italiana – sicuramente all’avanguardia nel panorama internazionale come dicevamo poc’anzi – sono quelli della socializzazione, della partecipazione, del riconoscimento sociale, dell’arricchimento relazionale, umano e cognitivo per tutti gli alunni, della collaborazione con la famiglia dell’alunno con disabilità, del rispetto delle differenze, dello sviluppo professionale delle figure che operano nella scuola e del miglioramento dei processi organizzativi.

Se un contributo può arrivare da questo nostro seminario è cercare di capire se la pratica è stata coerente con questi principi, se le finalità sono state raggiunte.

Soprattutto a me sembra che uno dei punti fondamentali da affrontare è quello della necessità da parte delle istituzioni di una presa in carico complessiva e integrata dei giovani con disabilità in grado di tenere insieme sia il cd “tempo scuola” che il “tempo di vita”.

È in questa prospettiva che vogliamo lavorare per una scuola sempre più inclusiva, che cioè sappia rispondere ai crescenti Bisogni Educativi Speciali (BES) che attengono alla disabilità e alle difficoltà di apprendimento.

Sappiamo che una presa in carico complessiva e integrata dei giovani con disabilità, che tenga insieme sia il cd “tempo scuola” che il “tempo di vita”, e una scuola ancora più inclusiva che risponda a bisogni educativi emergenti impone nuove prassi relazionali tra Regione, Ufficio scolastico regionale, enti locali, USL, terzo settore.

Forse, e lo pongo come riflessione al dibattito, le azioni di sistema che sono state richiamate anche nel Protocollo d’intesa tra la Regione e l’USR, potranno nel prossimo futuro essere ancora più incisive se troveranno riconoscimento formale in un nuovo patto concertativo tra Regione e i soggetti interessati. Se perciò si andrà, come prevede il protocollo, a ridefinire le cd. Linee di indirizzo per l’integrazione scolastica dei soggetti disabili elaborate nel 2009, è bene che queste siano condivise e perciò dotate di una più forte capacità di produrre concrete innovazioni.

D’altra parte momento più propizio per la definizione di una nuova prassi comune non potrebbe esserci. L’attuazione del Titolo V da un lato, i nuovi provvedimenti regionali in tema di autonomie, gli annunci del Governo Monti sul riordino istituzionale aprono opportunità che vanno colte.

Ci confrontiamo con un impegno che non riserva soste. La spinta verso l’affermazione piena del diritto all’istruzione dice che la curva che descrive l’incidenza degli alunni disabili nel sistema scolastico italiano è in continua crescita. Gli alunni interessati sono complessivamente il 2,24% della popolazione scolastica (ci avviciniamo ai 200.000 alunni in Italia), con punte più elevate nella scuola primaria e secondaria di primo grado.

Il nostro successo di amministratori, insegnanti, operatori della scuola si misura anche nel successo scolastico, nel benessere e nella vita attiva di questi ragazzi. Che è poi, in parole povere, lo slogan e il programma politico di questo incontro. La scuola è di tutti. Nessuno sia escluso.

La scuola, il nostro primo bene comune

settembre 12, 2011admin2011, interventi nel PD, nel PD0

PD Toscano – Gruppo regionale del PD – Incontro sulla scuola, 17 settembre 2011, Firenze - Relazione di Daniela Lastri

Buongiorno a tutti!
Qualcuno si sarà chiesto che ci stiamo a fare qui, a discutere di scuola mentre fuori, nella politica, ne succedono di tutti i colori, e mentre le nostre istituzioni locali si trovano a fare i conti con i conti, con i bilanci che non quadrano, con le risorse che non si trovano, e se si trovano non si possono spendere.

Noi siamo qui – amministratori, dirigenti, iscritti del PD, operatori del settore – perché avvertiamo che l’Italia e le nostre comunità locali corrono il rischio di stare a guardare mentre le politiche pubbliche per la scuola deperiscono e si spengono, se va bene in attesa di tempi migliori. Vogliamo fare, dobbiamo fare qualcosa, invece, per contrastare questo declino. Perché il prezzo che la società è destinata a pagare per il declino della scuola è, anno dopo anno, più grande. La nostra non è una voce isolata, come dimostrano le proteste, motivate, circostanziate, delle istituzioni locali, dei sindacati, degli osservatori più avvertiti, della gente comune. Noi vogliamo, però, calcare la mano sulla questione scuola perché non sfugga a nessuno la partita in gioco.

La scuola – lo ricordo a me stessa e a tutti noi – è un grande motore dello sviluppo. C’è occupazione qualificata, si produce ricchezza materiale e linfa per la ricchezza futura, e si realizza al massimo livello l’inclusione sociale. La scuola è la prima fabbrica del benessere di una società. E’ il luogo delle relazioni, tra istituzioni, tra generazioni, tra mondo degli adulti e dei bambini, e tra tutti questi insieme. Se questa fabbrica non va, i problemi aumentano dovunque, con costi sociali immediati e costi sociali ed economici a lungo termine. Per questo, una buona politica scolastica non ammette sprechi, dentro e fuori la scuola. Uso consapevolmente l’immagine della scuola-fabbrica, perché sia chiaro che considero la scuola una istituzione che crea valore e in tutti i sensi.

Esagerando, volontariamente esagerando, diciamo che la scuola è il nostro primo bene comune. Ma in fondo non è proprio un’esagerazione. Certo, ci sono tante altre cose che sono beni comuni importantissimi. Però la scuola è un po’ il precipitato di tutti i beni comuni, è un modo per vederli tutti insieme, lì in quel microcosmo, in quel luogo di gestione quotidiana della vita comunitaria.

La scuola non possiamo perderla. Non possiamo accettare che nelle nostre città, nei nostri paesi, non si riconosca più l’edificio scolastico, quel luogo fisico che è parte della nostra immaginazione e storia collettiva, inconfondibile all’esterno e bello a vedersi all’interno, ricco di colori, attraversato dalla confusione e dalle tracce delle cose che si imparano e si sperimentano ogni giorno, dove si vivono i conflitti con la voglia di risolverli, eppure a suo modo un luogo ordinato e soprattutto sicuro per i bambini e i ragazzi. Non possiamo accettare di veder deperire le nostre scuole, e tra un po’ nasconderle con imbarazzo. Non possiamo accettare che diventino un grande parcheggio della gioventù, dove si passa un tempo indistinto che non si può trascorrere altrove. Un luogo nel quale non c’è più creatività, rigore nell’insegnamento, impegno a formare le persone del domani. Un luogo al quale nessuno più tiene.

Ho sempre pensato che un buon amministratore, un buon politico, dovrebbe occuparsi almeno per un po’ di scuola, non per sentito dire ma per operare scelte di governo. È un buon esercizio, aiuta a vivere una dimensione mite del potere. Quando ti occupi di scuola, la mattina sai cosa succede. Puoi anche pensare per un attimo di essere superfluo. Gran parte della città si sveglia con in testa la scuola, e perfino quelli che a scuola non ci vanno incontrano la scuola ad ogni angolo. Puoi non far niente: quel mondo si mette piano piano in moto da solo. Passa un’ora e ti rendi conto che solo una buona organizzazione è in grado di dare risposte alle tante domande che cominciano ad arrivare dalle scuole e dalle famiglie. Quel mondo che si è messo in moto da solo e che è in grado di andare avanti da solo per tutto il tempo scolastico, che ha le risorse umane e professionali per risolvere da sé tanti quotidiani problemi, ha bisogno di altro per funzionare bene. Se non sei pronto, anche le energie che è capace di mettere in moto da sé si spengono.

È quello che non capisce questo governo, non può capirlo, non ha la cultura della scuola, non riesce a misurare la grandezza e l’umanità della scuola: e se non sei pronto, se non dai risposte per far funzionare la scuola, la scuola non c’è più. Se umìli gli insegnanti, e li convinci ad essere macchine, li allontani da quella che sentono la loro missione professionale. Se li fai sorveglianti alla fine si convinceranno che questo è ciò che la società chiede loro, nulla di più. Se tratti i bambini disabili come un problema tra i tanti, se non addirittura come privilegiati da mettere sotto controllo, alla fine scaricherai sulle famiglie tutte le difficoltà della crescita, e loro non cresceranno come potrebbero fare. Se tratti i bambini immigrati come invasori, i conflitti invece di risolverli li moltiplicherai. E se fai tutto questo, vuol dire che della scuola pubblica non t’importa un bel niente. T’importa semmai, come diceva Calamandrei, di screditarla, di impoverirla, e di dirottare risorse fondamentali verso la privatizzazione dell’istruzione. Ti capita perfino, come ha fatto Berlusconi in uno dei suoi momenti di estasi, di farti scappare di bocca sincere parole di odio per la scuola di tutti, per la scuola pubblica!

Ma tutte queste cose le persone che sono qui le sanno. È tempo di dire cosa dobbiamo fare per convincere noi stessi e il mondo che ci sta intorno che una battaglia va data, per la scuola. Per darla bene abbiamo bisogno di iniziative rivolte al governo e al parlamento, e di rafforzare il nostro impegno sulle cose che noi stessi possiamo fare.

Metto le mani avanti: non è semplice dire cose nuove. C’è una importante elaborazione nazionale del PD, c’è l’impegno della Regione e degli enti locali, c’è un dibattito pedagogico molto vivo, c’è soprattutto una forte domanda sociale che viene dagli insegnati, dagli studenti, dalle famiglie. Gli argomenti sono veramente tanti, e a volerli mettere in fila con poche parole incombe il rischio di cadere nella banalità. Me ne sono accorta preparando questo nostro appuntamento, riflettendo sulle ricerche, le suggestioni, i dibattiti di questi anni e di questi giorni. Non vi aspettate, dunque, che io riesca a dare conto di tutto ciò. La mia intenzione è diversa: provare a convincere il PD, cioè me stessa e tutti voi, che una battaglia per la scuola va data, oggi, senza aspettare tempi migliori, e con tutta l’intelligenza di cui disponiamo. E sollecitare tutto il PD ad essere presente nei momenti cruciali nei quali questo impegno dovrà dimostrarsi concretamente, nelle manifestazioni di piazza come nei luoghi della costruzione della proposta di governo, a livello locale, regionale e nazionale, e infine nel momento in cui torneremo alla giuda di questo Paese. Vi invito, perciò, a fare una discussione aperta, che aiuti tutto il PD a dare spessore al suo impegno. Le proposte del PD Toscano le costruiremo insieme, da oggi e nelle occasioni che verranno.

1.

La prima battaglia che va data è per restituire alla ministra Gelmini la sua libertà. Tre anni sono troppi, per lei e per la scuola italiana. Finiamola dunque con questo stress, mandiamo a casa il governo, il padre padrone e tutti i suoi ministri. Il bilancio complessivo delle politiche scolastiche è dei peggiori della recente storia d’Italia.

Io penso che bisogna andare al più presto alle elezioni. Ma se questa strada fosse impedita dalla chiamata di responsabilità, per mettere mano alla crisi in modo appena decente, cerchiamo almeno di non farci intrappolare: teniamo ferma la necessità di andare al più presto ad elezioni, imponiamo la riforma della legge elettorale e un termine per ridare ai cittadini la parola. Il più presto possibile. Soprattutto, evitiamo che l’opposizione si frantumi in mille pezzi.

La battaglia per la scuola ha bisogno di un centro sinistra solido. E la qualità della scuola pubblica non può che essere un perno essenziale del suo programma. Aggiungo che il centro sinistra deve riuscire a fare un discorso di unità sulla scuola, un discorso nazionale, fatto di due capisaldi:

-      investire sulla scuola, e dunque invertire di 180 gradi la direzione assunta dalla politiche pubbliche di questo governo: la svolta deve essere decisa e radicale, con più risorse e qualità della spesa;

-      riconquistare il valore nazionale e ugualitario della scuola pubblica, e ridare certezza a chi oggi, insegnanti, alunni, famiglie, vede ormai nella scuola solo un problema in più.

Questi due capisaldi devono riuscire a farci mettere alle spalle l’approccio Gelmini-Tremonti, fondato su analisi sbagliate della competitività del sistema. Condivido perciò le proposte che il PD ha messo in campo a livello nazionale e raccomando vivamente di farle diventare un oggetto reale di confronto con le altre forze politiche. Esse riguardano, come sappiamo:

-      la trasformazione del nido d’infanzia da servizio a domanda individuale a diritto educativo di ogni bambina e di ogni bambino, e la generalizzazione della scuola d’infanzia;

-      la certezza di risorse alle scuole per innovare la didattica e funzionare bene;

-      l’estensione del tempo pieno nella scuola primaria e del modulo a 30 ore per le compresenze;

-      il trasferimento degli uffici scolastici regionali dal ministero alle regioni;

-      il passaggio dai livelli essenziali delle prestazioni ai Livelli essenziali degli apprendimenti e delle competenze (Leac);

-      la soluzione del problema del precariato;

-      la lotta alla dispersione scolastica;

-      l’investimento sull’istruzione tecnica e professionale di qualità;

-      il piano straordinario per l’edilizia scolastica.

2.

La seconda battaglia che va data è proprio per l’edilizia scolastica. Qui ci sono gravissime colpe del governo, tra le quali spicca l’abbandono della legge 23 del 1996, l’uso dei fondi FAS, la centralizzazione parossistica delle scelte, l’abbandono dell’anagrafe dell’edilizia scolastica. È tempo, come chiede il PD, di costituire una commissione parlamentare d’inchiesta sui piani di intervento sull’edilizia scolastica. Queste cose le abbiamo dette proprio il 14 settembre, il giorno dell’apertura delle scuole in Toscana, approvando in Consiglio regionale una importante mozione.

Ma c’è anche un impegno nostro che va rimesso in campo con decisione. Non possiamo aspettare momenti migliori. Subito, dunque, si stabilisca quali sono gli investimenti che sono fuori dal patto di stabilità, e tra questi non può che esserci l’edilizia scolastica pubblica.

La messa in sicurezza delle scuole è un problema di tutti. E lo è anche in Toscana, che pure ha fatto in questi anni – enti locali e Regione – uno sforzo importante, segnalato dalla ricerca di Legambiente “Ecosistema scuola 2011”. Avremmo però bisogno di quasi un miliardo e mezzo di euro per l’edilizia scolastica, quasi 900 milioni solo per la messa in sicurezza degli edifici. Cifre da capogiro. Agiamo dunque di conseguenza, a partire dagli strumenti che abbiamo, per fare ciascuno la propria parte. È giusto che la Regione Toscana confermi l’impegno a mettere a disposizione degli enti locali risorse per l’edilizia e a fare in modo che queste siano utilizzabili. Ma sull’edilizia scolastica è tutto il sistema locale che deve mantenere viva l’attenzione, deve trovare le risorse nei bilanci, deve costruire un programma comune. Credo che dobbiamo riuscire ad intervenire con azioni congiunte e concordate sul territorio con accordi Regione-enti locali.

Dunque, abbiamo da svolgere una iniziativa generale, verso governo e parlamento, promuovendo prese di posizione delle istituzioni regionali e locali, facendo petizioni di cittadini e promuovendo incontri pubblici.

Poi, dicevo, dobbiamo impegnarci tra Regione e territorio per organizzare al meglio ciò che possiamo fare per l’edilizia scolastica.

3.

Giustamente, però, alcuni assessori all’istruzione di grandi comuni, tra cui il comune di Firenze, hanno posto il tema più generale del patto di stabilità sull’insieme della spesa per l’istruzione. Condivido questa richiesta, e penso che dobbiamo farla nostra. L’istruzione, come la sanità, riguarda servizi su cui la spesa non può arretrare. Aggiungo che andrebbe fatta una riflessione ancora più ampia, che coinvolga pressoché tutte le funzioni fondamentali dei comuni che attengono all’erogazione di servizi rilevanti per i cittadini.

4.

Il nostro impegno non può mancare, più in generale, sulla scuola dell’infanzia. Anzi, direi sull’educazione per i bambini da 0 a 6 anni, dunque nidi compresi. Abbiamo in questi anni costruito più occasioni e modalità di sviluppo dell’educazione dei più piccoli, ma resta l’esigenza imprescindibile di avere nel territorio una diffusa rete di nidi d’infanzia. Se non c’è questo, tutto il sistema dell’educazione dei più piccoli non regge, perché manca la cultura e l’attrezzatura minima, l’esperienza professionale necessaria per reggere un sistema fatto di più opportunità, anche del privato sociale. Il pubblico non coordina niente se non fa anche da sé. Fortificare la rete dei nidi, anche in una dimensione intercomunale, è un obiettivo realistico. Stesso discorso vale per le scuole dell’infanzia, che – io penso – in una prospettiva moderna dovrebbero essere generalizzate su tutto il territorio ed essere affidate alla gestione comunale. Sulla scuola dell’infanzia possiamo anzi avere un obbiettivo ambizioso, di procedere gradualmente ad una sempre più ampia responsabilità del sistema locale, così costruendo una prima importante attuazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione.

Sulla scuola dell’infanzia la Regione ha fatto un investimento importante, raffrontato soprattutto alla difficile situazione finanziaria che attraversiamo. Certo, non possiamo arretrare. Allo stesso tempo non possiamo non denunciare che l’intervento regionale non può essere sempre sostitutivo, e che, ad un certo punto, bisogna decidersi a trasferire alla Regione, e dunque al sistema locale, il complesso delle risorse e delle competenze dello Stato. Del resto, la stessa Costituzione consente una autonomia più spinta delle Regioni, anche differenziata, che coinvolge anche le norme generali sull’istruzione.

Per inciso, sui servizi educativi per la prima infanzia siamo in Regione in prossimità degli obiettivi di Lisbona (nel 2009 al 31,7%, rispetto all’obiettivo del 33%). Però una parte del territorio ne è privo, le liste di attesa per gli asili nido crescono e hanno ormai superato quota 7.000 bambini. Possiamo lavorare in questa direzione, sviluppando almeno servizi gestiti a livello di area intercomunale? Possiamo, insieme a ciò, puntare di più sulla riduzione delle liste d’attesa? Questi due obiettivi (attrezzare tutto il sistema locale, ridurre le liste d’attesa) potrebbero costituire il nucleo dei nuovi criteri di riparto delle risorse regionali. Nel triennio passato, la Regione ha fatto scelte importanti, concentrando risorse per ben 73 milioni di euro. Ma lo Stato si è gravemente disimpegnato, e non sono più disponibili né le risorse del ministero della famiglia, né quelle del ministero delle pari opportunità.

5.

La riflessione che facevo sulla ricerca di una maggiore autonomia e valorizzazione della Regione e degli enti locali sulla scuola dell’infanzia introduce al tema più generale dell’attuazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione sul punto dell’organizzazione scolastica. Nella cd. Carta delle autonomie (il ddl Calderoli oggi al Senato) è posto il tema del trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, ma finora tutto si risolve in un rinvio a futuri provvedimenti legislativi. Bene: possiamo porre qui subito il tema dell’organizzazione scolastica? Anche prevedendo (come dicevo) trasferimenti differenziati, subito per le Regioni che sono in grado di provvedere?

Perché, se questo non è, se non c’è voglia di assumersi questa responsabilità (come invece in passato è avvenuto per il sistema sanitario), allora meglio rimettere tutto in discussione, le competenze della Regione, quelle degli enti locali, quelle dello Stato. Le scuole, gli insegnanti, le famiglie non possono essere tenuti a lungo così, senza un valido riferimento istituzionale sul da farsi. Nell’era della crisi finanziaria e fiscale non è più accettabile che si facciano manovre “a responsabilità limitata”, con uno Stato che taglia contando di scaricare su Regioni ed enti locali il peso delle sue inefficienze.

È venuto perciò il momento di prendere una iniziativa.

È importante che la Giunta regionale abbia deciso di impugnare le norme del decreto-legge 98/2011 sul dimensionamento scolastico, quelle che impongono la costituzione degli istituti comprensivi e l’accorpamento delle istituzioni esistenti in base al numero degli studenti (1000 o 500). Sono norme che stanno determinando situazioni paradossali e gestioni pesantemente inefficienti delle istituzioni scolastiche, di cui sono un evidente segno gli incarichi plurimi di dirigente scolastico. E’ importante che la Giunta regionale abbia approvato indirizzi per il dimensionamento scolastico che cercano di far fronte a questa paradossale situazione. Queste cose, però, ormai non bastano più. Tutti, credo, sentono una insoddisfazione per essere troppo al di qua del guado.

La Regione da tempo pone l’esigenza di dare piena attuazione al Titolo V della Costituzione, e su questo – secondo me – è bene mettere in campo un’azione decisa. Sappiamo che non è semplice, che il tema ha trovato soluzioni non sempre coerenti da parte della Corte Costituzionale, e che, infine, vi sono un grumo di problemi molto complessi da affrontare perché in gioco c’è anche l’attuazione del cd. federalismo fiscale, ci sono le funzioni fondamentali di comuni e province, ecc. Lucidamente, queste cose sono state messe in fila dal recente Rapporto 2010 dell’IRPET sull’istruzione in Toscana.

Però, penso che sia il tempo di elevare il contenzioso politico con lo Stato, perché l’azione regionale non è fatta solo di importanti risorse finanziarie che soccorrono il sistema locale e le scuole, è fatta anche di un essenziale contributo a sciogliere i problemi organizzativi della scuola, e dunque a dare certezze al sistema dell’istruzione pubblica.

Già: elevare il contenzioso politico, perché dell’attuazione del Titolo V al governo importa ben poco. L’ultimo NO pare sia venuto proprio di recente dal ministero, che comunque, sapendo di sposare una posizione insostenibile, ha costituito … un bel gruppo di lavoro!

In più, ritengo essenziale che la Regione pratichi pienamente il terreno dell’istruzione pubblica, e questo si fa solo se ci si sta dentro, se si acquisiscono competenze, se la cultura dell’organizzazione scolastica entra a pieno titolo nella vita della più importante istituzione della Toscana. Forse mi sbaglio, ma ritengo che in Toscana vi siano le condizioni per aprire una riflessione in più sui servizi erogati da comuni e province per la scuola, sulla sostenibilità o meno di un sistema con competenze frammentate tra scuola dell’obbligo e scuola secondaria di secondo grado. Abbiamo la capacità di trovare una nuova sintesi, nuove modalità di raccordo, o dobbiamo rassegnarci ad una latente conflittualità?

Nei passaggi più delicati, quando vengono in questione aspetti che incidono sulle strategie di fondo, il partito ha il dovere di sottoporre agli organi di governo regionale e locali problemi e domande che vengono dal confronto con la società e con le esperienze del territorio. Del resto, per noi, se assumeremo questa impostazione, non si tratta solo di sollecitare un impegno della Giunta regionale. Abbiamo da rivolgere la nostra azione anche a livello nazionale, contribuendo al dibattito generale del PD, e verso altri soggetti interessati, sindacali, associativi.

La Regione Toscana nel suo insieme ha, secondo me, l’esperienza e le qualità per affrontare il tema generale. E io penso che, a differenza del passato, c’è oggi bisogno di una legge regionale sull’istruzione, che migliori l’organizzazione pubblica e metta a profitto le cose importanti fatte finora. Che intanto definisca in modo organico il complesso delle azioni della Regione sulla scuola, e che apra la prospettiva di un più ampio disegno attuativo della Costituzione.

I temi che ho ricordato (battaglia contro questo governo, impegno deciso per l’edilizia scolastica, per la scuola dell’infanzia e per gli asili nido, per una scelta regionalista sull’organizzazione della scuola pubblica) non esauriscono il nostro impegno.

Un grande partito come il nostro non può rinunciare a svolgere una riflessione e una iniziativa sul ruolo degli insegnanti. Se ne parlerà in una sessione del Forum nazionale ad ottobre, ma intanto dobbiamo far sentire la nostra voce. E non possiamo tacere sulla grave situazione degli operatori ATA. I dati sono noti, come pure la volontà del ministro Gelmini di cancellare 67.000 posti docente e 33.000 posti ATA, con un provvedimento ora giudicato illegittimo e che ritorna alla valutazione delle Regioni. Mi aspetto che le Regioni si facciano sentire. La verità è che aumentano gli alunni e diminuiscono insegnati e amministrativi, e che ciò avviene con un governo del sistema del tutto inadeguato e al limite della improvvisazione. La verità è che aumenta il numero degli alunni per classe e in alcuni casi (le cd. classi-pollaio) con effetti disastrosi. Anche questo lo abbiamo stigmatizzato con una mozione approvata il 14 settembre dal Consiglio regionale su proposta del PD.

Tutto avviene in nome di una razionalizzazione che non si misura sulla qualità e sull’efficacia. Gli obiettivi della razionalizzazione, se non si alimentano di qualità, si riducono alla ricerca della mera riduzione della spesa e precipitano verso la consapevole de-scolarizzazione. Con il IV governo Berlusconi la miscela è diventata esplosiva. Rischiamo di perdere il meglio che abbiamo (la scuola primaria) e di abbattere definitivamente quello che avrebbe bisogno di maggiore innovazione.

A parte ogni considerazione sui metodi utilizzati normalmente per raffronti tra il nostro Paese e quelli dell’area OCSE e europei, il punto vero che è che la spesa complessiva per l’istruzione italiana non è per nulla squilibrata rispetto al PIL. Del resto, proprio in questi giorni l’OCSE è intervenuta ricordandoci a quale livello siamo:

-      diplomati tra i 25 e i 34 anni: Italia 70,3% – paesi OCSE 81,5%; aumentiamo nelle classi più adulte, diminuiamo addirittura tra i giovanissimi;

-      laureati delle classi giovani: Italia 32% – paesi OCSE 38,6%

-      spesa per l’istruzione scolastica e universitaria: Italia 4,8% del PIL – paesi OCSE 6,1% del PIL (su 34 paesi siamo 29esimi);

-      stipendi più bassi per gli insegnanti.

La replica della Gelmini non si è fatta attendere, ripetendo la litania del numero degli insegnanti per alunno, che in Italia è più alto sia della media OCSE che della media italiana. Eccola l’ossessione, unica, decisiva, qualificante tutto l’operato di questo governo. L’ossessione che ha fatto dare pirotecnici giri di numeri dai propagandisti governativi, arrivati perfino ad usare false cifre sui bidelli e a gridare che questi sono più dei carabinieri!

Un giorno spero, qualcuno farà i conti giusti, e dirà che nei nostri conti ci sono insegnanti che altrove non ci sono, come quelli di religione, come quelli per il sostegno ai disabili, questi ultimi destinati a crescere, e spiegherà che in Italia c’è un tempo scuola per ragazzi molto più elevato che altrove.

Il tempo scuola, la scolarizzazione, la de-scolarizzazione. Ogni ipotesi di razionalizzazione, che a noi non fa paura e che vogliamo porti a migliorare (pensiamo al ruolo delle nuove tecnologie) non a perdere la scuola, deve fare i conti con lo scenario che vogliamo immaginare per il futuro.

Se noi vogliamo seguire scenari di ri-scolarizzazione dobbiamo puntare su altre politiche rispetto a quelle messe in campo dalla destra italiana. Un buon governo si rimbocca le maniche e si mette a lavorare per la scuola! Un buon governo sa anche trovare la strada per un giusto rapporto tra la scuola pubblica e quella paritaria, sa cosa vuol dire la scuola paritaria dell’infanzia e come essa contribuisce, in un intenso rapporto di collaborazione con il pubblico e con la condivisione degli obiettivi pedagogici, al diritto all’istruzione dei bambini. Un buon governo sa qual è l’interesse da tutelare, e cosa significa la scuola per tutti. Un buon governo non taglia borse di studio (solo in Toscana quest’anno mancheranno 3 milioni!) e lascia nell’incertezza enti locali e famiglie sui buoni libro.

Sciorinare numeri non è il mio forte, e ammetto che i numeri in mano ai politici rischiano sempre di essere manipolati.

Mi appoggio allora a quelli dell’IRPET del rapporto 2011 che ho già citato, e che raccontano di in gap tra Italia e Europa ancora lontano da essere colmato, con alti divari di scolarizzazione superiore (in Toscana andiamo un po’ meglio che in Italia, siamo al 77% dei ragazzi tra i 20 e i 24 anni) e di abbandono precoce della scuola. In Toscana, in tutti i cicli scolastici, aumentano le classi (+7,5% in dieci anni) ma molto meno degli iscritti (13%), eppure quell’aumento è dovuto alle sezioni di scuola dell’infanzia (+20%  rispetto al +26% di iscritti), mentre il divario tra classi e iscritti è forte nella scuola primaria (+2,4% classi, +12,7% di iscritti).

L’IRPET ha misurato anche il rendimento scolastico, segnalando che il 94% dei diplomati nei licei prosegue gli studi, che si mantiene alto il numero dei diplomati tecnici che vanno all’università (56%), mentre il 68% dei diplomati ai professionali interrompe gli studi dopo il diploma.  Il sistema economico toscano premia di più i diplomati tecnici e professionali, ma questi ultimi – a differenza dei primi – trovano lavoro in attività che richiedono semplicemente la scuola dell’obbligo.

L’istruzione tecnica in Toscana subisce negli ultimi anni minore attrazione dei giovani, e soprattutto nelle aree urbane industriali, dove invece prevalgono scelte in favore dei licei.

Di rilievo sono poi i dati sulla presenza dei ragazzi stranieri nelle scuole secondarie (sono il 7,8% del totale), presenza che però è inferiore a quel 10% che sono tutti i ragazzi stranieri rispetto ai coetanei toscani. Gli studenti stranieri preferiscono gli istituti professionali (qui sono il 15% del totale), mentre sono poco presenti nei licei. Le migliori chances di inserimento lavorativo sembrano essere nelle aree urbane distrettuali.

Nell’ultimo anno è cresciuta, complessivamente, la nostra popolazione scolastica, che arriva a 463.666 alunni, 790 in più nella scuola dell’infanzia, 873 in più nella primaria, 1.846 nella secondaria di primo grado, 2.112 in quella di secondo grado. 3.000 insegnanti sono stati tagliati in due anni e 700 lavoratori ATA. Più puntualmente, i dati della CGIL toscana rivelano che dall’anno scolastico 2009/2010 all’a.s. 2011/2012 sono stati tagliati 5942 posti, 3757 docenti e 2185 ATA. 69 sono le direzioni scolastiche destinate ad essere soppresse. I dirigenti scolastici non vengono rinominati. Sono cifre importanti, che ci fanno preoccupare di cose avverrà in quest’anno e nei prossimi della scuola toscana, di quella delle città e soprattutto di quella delle zone montane.

Il ministero dell’istruzione pubblicizza in questi giorni 66.300 stabilizzazioni. Però tutti sanno che sono numeri sulla carta e che il processo di stabilizzazione avviato con il governo Prodi (e che oggi sarebbe concluso con successo) è ormai fortemente compromesso dalle iniziative della Gelmini.

Si discuterà ancora per qualche giorno di questi ed altri dati, la battaglia dei numeri è sempre sulle pagine dei giornali. Poi verrà la realtà, la resa dei conti vera, le difficoltà di gestione, i problemi di organizzazione quotidiani. La crisi finanziaria può fare il resto, se al governo resta questa classe dirigente dei fatti propri. Ma infine la Gelmini se ne andrà, e se ne andrà Tremonti e il capo padrone. Toccherà ad una nuova classe dirigente, toccherà al centro sinistra rimettere insieme i cocci, ricominciare a governare.

Si batte per sopravvivere, la scuola pubblica italiana!

C’è in giro una specie di de-costituzionalizzazione della scuola, che dovrebbe essere garantita a tutti e così non è. Come non c’è più il tempo pieno, quello vero, quello con le 40 ore che rispondevano prima di tutto ad una coerenza formativa. Non quello della propaganda governativa. Si accorpano scampoli di ore a più insegnanti, si frammenta l’offerta formativa, il maestro unico è un fallimento. Se non c’era la Corte Costituzionale, gli insegnanti di sostegno potevano starci o no, decideva Tremonti. Un taglietto di 8 miliardi di euro dal 2008, con i finanziamenti sulla legge per l’autonomia che passano da 258 milioni del 2001 a 88 milioni del 2011. Fondo di funzionamento ordinario azzerato nel 2009, ricostituito nel 2010 solo dopo i ricorsi. Quasi completa soppressione delle scuole serali. Coperta corta per gli studenti, che in assenza di insegnanti vanno in soprannumero in altre classi. Difficile combattere la dispersione scolastica. Mancano le risorse per pagare le ore di recupero degli studenti con debiti formativi (da 200 milioni nel 2007 si passa a 27 milioni di quest’anno). Chi copre la necessità di istruzione sulla lingua inglese?

Ogni volta che faccio mente locale su queste cose mi chiedo in nome di cosa sono state pensate e realizzate. Non so voi, ma io ci vedo solo una pervicace volontà di farla finita, una volta e per tutte, con la scuola pubblica, con la scuola di tutti. Il fatto è che non hanno nemmeno uno straccio di idea sulla scuola dei pochi, su quella competitiva, su quella della futura classe dirigente. Non hanno uno straccio di nulla …

Io ho concluso la lettura dei miei appunti. Se in alcuni momenti vi ho dato l’impressione dello scoramento (perché, lo confesso, a volta ti prende, e soprattutto quando al mondo della scuola senti di aver dato qualcosa di te stessa, al pari di tanti insegnanti e operatori), allora devo dirvi che non è così, non deve essere così. La battaglia per la scuola è apertissima, e il nostro compito è di tenerla sempre aperta, nonostante le Gelmini e i Tremonti. Tenerla aperta e rafforzarla perché deve essere vinta. Per me, per noi, il futuro della scuola è parte integrante di una nuova politica, più mite, più onesta, più concreta.

Dopo questo incontro organizzeremo altri momenti di riflessione tematici, aperti al contributo di tutti i soggetti interessati, anche riproponendo su scala regionale gli argomenti su cui è impegnato il Forum del PD sull’istruzione.

Vi invito, perciò, a dire la vostra, ad arricchire questa consapevolezza, e a farlo con l’esperienza e la voglia di cambiare che ci appartiene e che non ci abbandonerà mai.

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