Ripartiamo dalla scuola per cambiare l’Italia

Relazione di Daniela Lastri all’incontro del 14 giugno 2013

Torniamo a parlare di scuola, dopo la fine dell’anno scolastico, e stavolta lo facciamo con la ministra Maria Chiara Carrozza del PD. Lo facciamo in una situazione molto complicata, e sappiamo bene quante difficoltà e quanto lavoro sono davanti a chi, al Governo, ha la responsabilità primaria sull’istruzione italiana.

Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha detto che nessun taglio ci sarà sull’istruzione (e formazione e ricerca). Ma qui, lo sappiamo, non basta il NO ai tagli, ci vorrebbe una svolta epocale. Diciamo allora che contiamo sul fatto che il Governo riesca a porre oggi le condizioni per la svolta futura. Contiamo che questo avvenga, e siamo qui a dire alla ministra che noi le saremo vicini in questo lavoro.

Da tempo abbiamo cercato come PD Toscano di riprendere le fila di un discorso generale, per rimettere dovunque la scuola al suo posto (sia dove amministriamo sia nei luoghi nei quali siamo impegnati professionalmente).

Siamo impegnati da tempo a far sì che l’istruzione e la scuola siano sfilate lentamente dall’agenda istituzionale principale, e precipitino dove non devono stare, cioè nelle politiche minori, nei posti dove si fa quel che si può e nulla di più.

Ricordo i titoli dei convegni e degli incontri di partito e del gruppo consiliare PD, delle tante riunioni con gli amministratori che in quest’anno e mezzo abbiamo fatto:

-          l’edilizia scolastica, gli investimenti e le restrizioni del patto di stabilità;

-          la dispersione e l’abbandono;

-          la scuola e l’accoglienza degli alunni disabili;

-          l’accoglienza degli alunni stranieri.

Ricordo anche le politiche che a livello regionale abbiamo impostato e le scelte importanti che sono state fatte, tra cui:

-          l’approvazione del Piano integrato generale dell’istruzione;

-          il finanziamento delle scuole dell’infanzia e l’impegno per sviluppare i nidi;

-          il finanziamento del trasporto scolastico per i disabili e l’accordo con l’ufficio scolastico regionale per il sostegno.

Tralascio, per decenza, le ripetute analisi sulle politiche dei Governi Berlusconi e sulle debolezze del Governo Monti. Le abbiamo ricordate nei documenti ufficiali del PD, e ad essi rinvio. Dico solo che lo stato della scuola che ci lasciano le politiche governative degli ultimi 5 anni è a dir poco desolante.

È da qui che dobbiamo ripartire, e so che non è facile in questa situazione delle finanze pubbliche. D’altra parte, come l’Eurostat mette in evidenza, l’Italia è all’ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica in istruzione.

Ma veniamo al da farsi.

La ministra ha avuto modo di presentare alle Commissioni riunite di Camera e Senato le linee di azione del Governo sull’istruzione. Lascio a Lei di rinnovare qui quei ragionamenti, magari sulla base delle nostre riflessioni. Molto importante sarà anche sentire nel merito l’opinione della Vice presidente della Giunta Targetti, che ci aggiornerà anche sullo stato di attuazione delle politiche regionali.

Molte cose dette dalla ministra coincidono con le riflessioni che siamo andati facendo in questi anni. Il nostro sostegno, dunque, non può che essere pieno su molti punti:

-          edilizia scolastica e nuovi margini sul patto di stabilità per effettuare gli investimenti;

-          lotta alla dispersione e all’abbandono, e in generale interventi per gli studenti con al centro l’apprendimento di qualità;

-          interventi per il personale della scuola, per i precari, per gli insegnanti di sostegno;

-          sostegno all’autonomia scolastica;

-          aumento del tempo scuola e potenziamento della scuola dell’infanzia;

-          istruzione degli adulti;

-          potenziamento dell’istruzione tecnico-professionale e raccordi tra istruzione formazione e lavoro.

Su tutti questi temi qui in Toscana siamo molto sensibili, perché colgono la sostanza dei problemi che abbiamo di fronte. Il nostro sostegno alle azioni che si propone il Governo è pieno e fuori discussione.

Prendo come esempio la lotta alla dispersione e all’abbandono scolastico. I dati toscani sono preoccupanti, a partire da quelli dell’ISTAT che, per quanto campionari, ci sembrano ormai molto vicini alla realtà, con un preoccupante 18,6% di abbandoni, ormai superando la media nazionale, mentre gli obiettivi europei di Lisbona 2020 sono al 10%.

I dati del nostro osservatorio dicono che:

-          il 15,59% degli studenti è in ritardo;

-          nella primaria il ritardo è del 4,1%;

-          nella media siamo al 12,88% dei ritardi;

-          nelle superiori si arriva al 29,83% (qui abbiamo: licei 16,25%; tecnici 31,84%; professionali 57,45%)

Come è stato messo in evidenza dal documento degli esperti nominati dal Presidente della Repubblica “… l’identikit degli studenti a rischio di dispersione è delineato: si tratta in particolare di maschi provenienti da una realtà socio economica e culturale svantaggiata e che hanno perso almeno un anno nel corso del primo ciclo. Se non invertita, questa tendenza farà sì che, nella migliore delle ipotesi, la futura forza lavoro non avrà le competenze minime richieste da processi produttivi in rapida evoluzione …”.

Dobbiamo agire, tutto il sistema istituzionale deve agire, a partire da azioni di prolungamento del tempo scuola.

Ma il punto saliente è: come mobilitare risorse aggiuntive per la scuola e, una volta conseguite, come costruire un sistema efficace di attuazione delle politiche.

C’è, su questo, una questione nazionale e una questione locale.

Non viviamo in tempi ordinari, viviamo in tempi eccezionali. Se a livello nazionale non si operano scelte importanti nella redistribuzione del reddito e in funzione delle politiche strategiche non si va da nessuna parte. Ogni discorso istituzionale va a farsi friggere.

Sull’istruzione occorre un’intesa forte tra Stato e Regioni, direi perfino tra Stato (Governo) e ogni singola Regione, e ogni singola Regione con il suo sistema locale. Ogni risorsa disponibile, propria dello Stato o del sistema regionale e locale o derivante dai programmi comunitari, deve essere messa sul piatto della bilancia, per essere impiegata bene e presto. Definiti gli obiettivi comuni (livelli essenziali delle prestazioni, infrastrutture necessarie diffuse sul territorio), occorre determinare strumenti operativi, tempi di realizzazione, verifiche dei risultati raggiunti. Quello che non possiamo (più) fare è giocare ognuno per sé, Stato, Regioni, comuni, province, con obiettivi declamati, atti di programmazione ben fatti ma che restano sulla carta, capacità realizzative scarse. La Regione Toscana, ad esempio, ha un tessuto istituzionale – la concertazione, le zone intercomunali e le unioni, la Regione in quanto tale, le stesse province seppure in situazione di estrema incertezza – che può reggere a questa prova.

Per fare questo sforzo eccezionale, occorre però sapere qual è l’approdo a cui tendiamo. Ciascuno può anche rinunciare ad una quota di autonomia e condividerla con gli altri soggetti, se c’è di mezzo un’impresa che valga la pena di essere vissuta e se si sa dove vogliamo andare. Basta intendersi su quello che non deve accadere: un progressivo inevitabile spostamento di costi sul sistema locale senza responsabilità. Penso, ad esempio, alla Regione Toscana, che continua a svolgere un ruolo di supplenza sul finanziamento delle sezioni di scuola dell’infanzia, senza prospettiva, senza assumere il ruolo che le compete.

Le Regioni e i sistemi locali non sono gli stessi in ogni parte d’Italia, e non solo perché diversa è la qualità dell’amministrazione. Diverse sono anche le esperienze e le priorità. Ad esempio, guardiamo alla prima infanzia. Nelle linee programmatiche del Governo si sostiene l’importanza del potenziamento delle sezioni primavera. Anche noi abbiamo operato in questa direzione, ma giustamente tenendo conto della nostra esperienza, che è quella di non scolarizzare la prima infanzia ad ogni costo. Vorrei ricordare che ai tempi della Moratti si prevedevano gli anticipi sia nella scuola dell’infanzia sia nella scuola primaria; il successivo Governo Prodi fece la scelta delle sezioni primavera per far fronte ad una difficile gestione dell’accoglienza dei bambini “anticipatari”. Si trattò dunque di una iniziativa limitata e non di sistema. Ricordo i passaggi da noi fatti:

-          nel 2011-2012 la Regione ha finanziato 15 sezioni primavera a titolarità comunale, di cui 11 tra centri gioco educativi e 4 scuole dell’infanzia, a fronte di finanziamenti statali di 46 sezioni primavera rivolte alla scuola dell’infanzia (4 a titolarità statale, 42 a titolarità privata, di cui 6 nidi e 36 scuole dell’infanzia)

-          nel 2012-2013 giustamente la Regione non ha previsto finanziamenti per le sezioni primavera, concentrando invece il massimo sforzo per il finanziamento delle scuole dell’infanzia, grazie al quale si è garantito il diritto all’accesso alle scuole dell’infanzia a 3.000 bambini;

-          come ha recentemente ricordato la Vicepresidente Targetti, la Regione stanzia importanti risorse (7,3 milioni circa nel 2013) a sostegno della qualità e dell’offerta formativa dei servizi educativo 0-3 del territorio.

Voglio essere chiara: nessuno mette in discussione che in un territorio, in una Regione, le sezioni primavera siano una priorità; ma non va bene che debbano diventarlo per tutti, pena il mancato accesso a risorse importanti.

Noi invece consideriamo una priorità la generalizzazione della scuola dell’infanzia.

Continuo a pensare che l’approdo non può che essere una maggiore responsabilizzazione del sistema regionale e locale. Capisco le esigenze unitarie, in nome della straordinarietà del momento e dell’urgenza di superare le tante arretratezze del sistema d’istruzione. Ma questo deve essere fatto in vista di un nuovo equilibrio, che va costruito da subito. L’occasione è anche nella riforma costituzionale del Titolo V, oggi all’ordine del giorno. Bisogna che prendiamo una decisione, non si può attendere oltre.

Alcuni nodi vanno sciolti, servono per costruire l’assetto futuro.

Su alcune cose non si può tornare indietro:

-          penso alla programmazione scolastica del sistema regionale-locale, che già c’è;

-          penso anche alla gestione amministrativa della distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche da parte della Regione, che non è stata mai attivata, ma che va messa nel conto, magari in tempi e modi differenziati. So che questo è un punto dolente. Ma nella prospettiva mi sembra una questione ineludibile.

Non si può chiedere alle istituzioni regionali e locali di gestire il contorno e magari di sostituire lo Stato nelle cose che ad esso competono. E siccome credo che ormai è alle nostre spalle, per fortuna, la visione localistica della scuola che era nelle impostazioni leghiste (separatismo dell’istruzione), e giustamente puntiamo ad un sistema nazionale dell’istruzione che garantisca a tutti i medesimi diritti e opportunità di successo, possiamo oggi dedicarci con più serietà al problema dell’organizzazione. Mi chiedo se lo Stato regge più una organizzazione centralizzata su tutto: me lo chiedo per il buon funzionamento della scuola, e perché vorrei un sistema unitario negli orientamenti didattici, con autonomie (prima di tutto quella delle scuole) convergenti e non divergenti.

Credo perciò che, nell’ambito della riforma del Titolo V, dobbiamo riequilibrare il sistema su alcuni punti:

-          penso agli istituti professionali, innaturalmente oggi risucchiati nel sistema regionale della formazione professionale;

-          penso anche alle scuole dell’infanzia: la realtà ci dice che qui si può fare un percorso diverso, dallo Stato alle Regioni e al sistema locale. Non vedo di buon occhio la corsa alla dismissione delle scuole dell’infanzia comunali verso lo Stato, mi sembra una perdita di qualità del sistema locale. Qui possiamo pensare ad altro, ad una più forte unità Stato-Regioni-comuni sugli orientamenti didattici, e ad una più decisa devoluzione di tutta l’organizzazione.

Insomma: nessuno riuscirà a farsi carico di un problema se non c’è dentro fino in fondo, se non ha una responsabilità piena.

Del resto, il superamento ormai inevitabile delle province porrà a tutto il sistema dell’istruzione problemi nuovi. Alcuni compiti (penso all’edilizia scolastica) non potranno che affluire verso i comuni, singoli o associati. Altre funzioni dovranno essere riassunte verso il sistema comuni-Regione. Ci sarà maggiore spinta all’unitarietà.

Anche per questo, continuo a pensare che il sistema dell’istruzione necessita di una visione unitaria e autonoma, dove le connessioni con il sistema della formazione e del lavoro ci sono ma sono ben strutturate. In Toscana, penso, ci voglia una legislazione nuova sull’istruzione, che metta a regime le competenze dei soggetti istituzionali, impegnandoli nel cuore dei problemi. Una legislazione non ancillare rispetto a quella del lavoro.

Di questa spinta all’unità e alla responsabilità convergente delle istituzioni impegnate sul fronte dell’istruzione pubblica (compreso quello che dobbiamo fare insieme nell’emergenza) dobbiamo farci forza, per rimettere in sesto il sistema dell’istruzione, trovare le connessioni, provare a spingere per una maggiore qualità. E rispondere così alla nuova domanda sociale.

Penso che da questo nostro confronto possiamo ricavare molta energia, pur nelle difficoltà che ognuno si trova ad affrontare.

Lascio a voi la parola, so che avete molto da dire. Contiamo tutti nella possibilità di aprire un cammino nuovo e devo dire che le linee programmatiche presentate dalla ministra ci danno questa speranza. Grazie a tutti.

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