Riforma elettorale e democrazia paritaria

Relazione tenuta da Daniela Lastri sulla riforma della legge elettorale regionale Il 6 aprile 2011

Buonasera! Voglio anzitutto ringraziare i presenti e gli ospiti che hanno accettato di essere a questa iniziativa promossa dal gruppo del PD in Consiglio regionale.

Ogni introduzione che si rispetti propone auspici per la discussione, e io – con quella che mi accingo a fare – non voglio essere da meno. Spero, infatti, che si possa discutere apprendendo ciascuno qualcosa dagli altri, e dunque un po’ più liberi dalle inevitabili formalità delle sedi istituzionali. Mi basterebbe, per considerare questo confronto un successo, che riuscissimo a costruire il quadro della situazione di partenza e poi delle possibilità di riforma.

Voglio perciò essere breve e non girare intorno ai problemi.

La discussione sul sistema elettorale è aperta sia a livello nazionale sia a livello regionale. Difficile dire cosa bolle in pentola a livello nazionale. Il PD, ad esempio, ha assunto una posizione ufficiale per l’uninominale e il doppio turno. Tuttavia, pur di andare a votare con qualcosa di meglio dell’attuale sistema, è disponibile ad altre soluzioni. L’obiettivo minimo, mi pare, è di superare l’assurdo principale, quello che consente a chi vince anche con poco di prendere un vantaggio enorme (almeno alla Camera dei deputati; al Senato, si sa, è tutta un’altra storia).

Non so che cosa si riuscirà a fare a livello nazionale. Temo ben poco. E il sistema elettorale della Camera condizionerà molte scelte politiche sugli schieramenti che si confronteranno.

A livello regionale è un’altra storia. Ed è bene decidere lontani dalle elezioni del 2015. La lontananza rispetto al 2015 evita che il dibattito si svolga con egoismi di parte: è bene che chi è chiamato a votare una nuova legge elettorale lo faccia anche con una certa distanza dalle proprie aspirazioni personali.

È bene, soprattutto, che la Toscana si lasci alle spalle il fatto di essere l’antesignana del sistema elettorale nazionale (per capirci, del porcellum). Però, è giusto dire che questo non è vero fino in fondo: in Toscana ci sono le liste bloccate, è vero, che rappresentano il vulnus più evidente alla scelta dei cittadini; ma, ricordiamocelo, la legge Toscana non premia chi vince con pochi voti, garantisce anche la minoranza, e soprattutto ha un orizzonte legale – l’elezione del capo dell’esecutivo – che invece sul piano nazionale è una vera e propria forzatura.

Dunque, si deve cambiare, e noi siamo i primi a doverlo fare. Se lo facciamo in tempo, possiamo anche innovare di più, ed evitare che eventuali giudizi di costituzionalità – sempre possibili in materia elettorale regionale – si svolgano a ridosso delle elezioni.

Qui oggi affrontiamo il problema del sistema elettorale dal punto di vista delle donne. Come si vedrà, questo punto di vista offre spunti utili per tutti, di qualsiasi schieramento politico facciano parte.

Vogliamo partire dal fatto che il sistema elettorale è l’aspetto centrale della rappresentanza, e che è tempo di passare dalle “quote rosa” ad una democrazia paritaria. Mille sono i motivi, e qui mi basta accennarne ad alcuni.

Ho avuto modo di ricordare in questi giorni che le donne hanno un rapporto con il potere molto diverso dagli uomini. Non sempre, ma quasi sempre è così. La differente sensibilità, perfino interiore, delle donne è un fatto; ed è un fatto la lunga storia di distanze, esclusioni, irriducibilità a ruoli di potere fine a sé stesso.

Questa storia dice molte cose. Dice che delle donne, in genere, ci si fida di meno. La politica, in questo, è più indietro della società. Salvo che in alcuni settori che resistono ai ruoli maschili, le donne hanno conquistato posizioni di primo piano. In politica, invece, i passi avanti sono più lenti. Non c’è una conventio ad escludendum, ma non c’è dubbio che, prima che un incarico sia affidato ad una donna, i meccanismi di selezione spingono altrove. Chi ci si è trovata dentro lo capisce bene.

Eppure, le donne possono garantire molto. Spesso studiano di più, spesso lavorano e si impegnano di più, in genere si occupano di più degli altri, e si lasciano trasportare di meno nei luoghi grigi della politica. Sono anche, in generale, meno indulgenti verso l’illegalità. Solo che, in politica, sono un numero esiguo. E il primo passaggio della politica è la rappresentanza nelle istituzioni. Qui c’è la prima fonte di legittimazione del potere politico. Se non si affronta questo passaggio, si fa fatica a fare qualsiasi passo ulteriore.

Dunque, se si vuole veramente rinnovare la politica, femminilizzare i luoghi del potere diventa un obiettivo ineludibile, ed è anche la condizione principale perché le azioni positive per la promozione del ruolo sociale della donna nel mondo del lavoro, delle professioni e dell’impresa non restino nell’agenda virtuale della politica. Ci si può affidare alla sola buona volontà dei partiti? Direi di no, per la semplice ragione che i partiti, e ancor più quelli personali (non per niente tutti maschili), sono tentati più dal vecchio che dal nuovo. Bisogna invece superare la politica concessa alle donne o, il che è lo stesso, la politica che dà spazio alle donne a condizione che perdano qualcosa di sé nell’esercizio del potere. Ci vuole una svolta vera, un atto di auto riforma della politica tradizionale. Un po’ come avvenne con il voto alle donne.

L’auto riforma deve partire dal sistema elettorale, per rifondarlo – dicevo – sulla democrazia paritaria.

Beninteso, molte donne che fanno politica continuano a marcare una differenza sostanziale rispetto al modo di esercitare il potere da parte degli uomini. Eppure, anche per loro, il problema si pone. Perché sono troppo poche. E perché da esse si pretende molto, più che dagli uomini. Gli esami per le donne veramente non finiscono mai. Perfino le primarie, strumento avanzato e innovativo, usato dal PD ma anche da altri partiti, possono scivolare lentamente verso modalità più tradizionali della politica, e diventare l’opposto di quello che si vorrebbe che fossero. Io stessa che le ho vissute in prima persona, suggerirei oggi alle donne questo atteggiamento: fatevi avanti, buttatevici dentro, fatelo per testimoniare una presenza, ma non vi fate troppe illusioni: fin quando dominerà il principio che chi vince ha sempre ragione (principio tipico dell’atteggiamento maschile), per le donne quasi non ci sarà scampo. O sono sostenute dal potere costituito oppure si va poco avanti. Alle donne si rimprovera sempre di essere parziali: perciò, o vi fate forza della parzialità oppure dovrete dimostrare mille volte le vostre capacità. Alle donne si rimprovera sempre di non avere le mani in pasta: perciò, o vi fate forza della vostra autonomia oppure le mani dovete sporcarvele.

Il tema della democrazia paritaria attiene direttamente a come si esercita il potere, e se questo può essere rifondato più su principi di inclusione, di collaborazione e di cooperazione che sul conflitto e l’esclusione. In una democrazia paritaria uomini e donne hanno le stesse chances, ma non solo in senso formale. In una democrazia paritaria le donne non devono più chiedere spazio, perché questo sta già nelle cose, è nelle regole della rappresentanza; lo spazio è assicurato da misure effettivamente antidiscriminatorie e anche da azioni positive. E una democrazia paritaria richiede il ricambio, è essa stessa uno dei fondamenti del ricambio. La democrazia paritaria è il primo fattore del rinnovamento. Impone una svolta ed è la leva – una delle leve, forse la principale – per rifondare la Repubblica su nuove basi. Io penso che sia una leva anche per costruire la Terza Repubblica.

La Toscana può, stavolta, essere un esempio positivo del cambiamento. Veniamo dunque alle varie ipotesi di riforma che sembrano essere sul campo, e che discuteremo con i nostri ospiti, prima nella tavola rotonda e poi nel dibattito.

Cercherò di riassumere le proposte che mi sembrano sul tappeto, e come esse possono costituire, e in che misura, una occasione di democrazia paritaria. Ricordo a voi e me stessa che nessun sistema elettorale è perfetto, presenta vantaggi e svantaggi da considerare con attenzione. Dunque un sistema va valutato rispetto agli obiettivi che ci si pone. Il nostro obiettivo, lo ripeto, è di considerare quale sistema si avvicina di più ad una democrazia paritaria di genere.

Sicuramente sul tappeto c’è il ritorno al voto di preferenza, che può essere facilmente introdotto lasciando invariato tutto il resto del sistema di voto. Se si intende andare in questa direzione, l’unica strada che possa in qualche modo favorire la parità è prevedere un sistema con doppia preferenza. In pratica, all’elettore si dà l’opportunità di dare due preferenze e, qualora questa sia la sua scelta, obbligatoriamente devono essere di genere diverso (un uomo e una donna). Con questo sistema la Regione Campania è passata da una rappresentanza femminile del 6% a quella attuale del 24%, superiore alla nostra Toscana, che ha visto l’elezione, in prima battuta, di solo 9 consigliere su 53. Sfioriamo un misero 17%, un risultato che certo non ci fa onore.

Con noi c’è oggi Giuseppe Russo, presidente del gruppo PD della Regione Campania, che ci dirà dell’esperienza fatta in quella Regione. C’è anche il consigliere della Toscana Pieraldo Ciucchi, che ha già presentato una proposta di legge in tal senso.

In linea di massima, è vero che la doppia preferenza (volontaria, non obbligatoria) mette le donne in una condizione migliore. Confermata la sua legittimità dalla Corte costituzionale, è diventata una delle soluzioni ad oggi più sicure. Eppure, qualche riserva può essere avanzata.

Intanto, il sistema della preferenza non è neutrale rispetto al comportamento dei candidati. Impone una campagna elettorale molto complessa e competitiva tra i candidati della stessa lista, e molto costosa. Mi chiedo, perciò, se questo è il terreno più favorevole per le donne. Per imporsi senza assumere tutte le modalità di una competizione tradizionalmente maschile, le donne devono essere molto, molto conosciute. Inoltre, mi sembra che, per essere eletta, una donna dovrebbe trovarsi in una lista con poche donne (avere una minore competizione tra le donne) e soprattutto affidarsi ad alleanze (più alleanze) con gli uomini. Se non è molto, molto conosciuta, se non ha molti soldi da spendere (più di quelli necessari agli uomini, si può ritenere), alla donna che affronta la campagna elettorale non resta che “farsi eleggere” sostanzialmente dagli altri uomini candidati. Il risultato, poi, non è per nulla scontato.

Questo del risultato è un argomento che la Corte costituzionale ha usato per dire che la legge della Campania è legittima (perché non assicura il risultato, appunto). Devo far notare però una incongruenza: non mi risulta che sia considerato illegittimo il risultato scontato che, in gran parte, si ottiene con i collegi uninominali e, soprattutto, con le liste bloccate. Né mi risulta che ci sia stata avversione (giustamente …) ai listini regionali, dove cioè il risultato è scontato e ci sono spesso norme di rappresentanza dei due generi. Perché allora ci si oppone a liste formate in modo paritario? Non riesco a capire … Posso dirlo? La Corte Costituzionale mi sembra si preoccupi moltissimo della libertà dei partiti più che della libertà degli elettori. Essa ci offre con le sue sentenze una elevata considerazione della democrazia paritaria, ma questa posizione ad un certo punto si ferma. Non riesce a trarre tutte le conseguenze dal ragionamento culturale che fa.

Per tornare alla preferenza, vi racconto la mia esperienza. Ho partecipato a diverse competizioni elettorali.

Nella prima (elezione in un consiglio di quartiere), ero molto giovane e la politica era fortemente diretta da un partito strutturato come il PCI, in grado di orientare il voto di preferenza, peraltro tradizionalmente poco usato dagli elettori. La decisione politica era presa, non ho speso nulla, sono stata eletta – arrivando seconda – con il voto organizzato del partito (il PCI). C’erano le preferenze multiple.

Nella seconda, ancora con preferenze multiple, la situazione era più difficile, perché si trattava del consiglio comunale. Sono stata eletta sostanzialmente perché dirigente di partito e grazie al sostegno di dirigenti (uomini) influenti nel territorio. Sono arrivata penultima.

In queste due elezioni, il partito ha avuto un ruolo decisivo. Insieme a me, molto giovane, sono state elette numerose altre donne, pochissime delle quali molto conosciute.

Nella terza elezione sono arrivata prima. Era la prima volta che c’era la preferenza unica. La campagna elettorale fu diversa e competitiva. Avevo però dalla mia cinque anni di forte opposizione, nei quali mi ero dedicata ad un lavoro politico molto intenso sui temi dell’infanzia e dei servizi educativi. In quelle elezioni (era il 1995) ci fu un grande rinnovamento nelle liste del PDS. Fu la prima volta che spesi anche un po’ di soldi (non molti, e tutti miei e della mia famiglia). Ero più conosciuta, tra le donne sicuramente, ma anche tra gli uomini.

Quasi dieci anni dopo, dovetti accettare per “spirito di servizio” una nuova elezione in consiglio comunale. Venivo però da 5 anni di governo della città. Mi impegnai molto, spesi più soldi (sempre rigorosamente miei …) anche perché il partito già allora non era in grado di sostenere la campagna elettorale dei candidati, nemmeno di quelli – come me – più in vista. Il risultato fu molto lusinghiero (arrivai seconda, a una manciata di voti dal candidato largamente più quotato di tutti). Feci con le mie forze, ma vi assicuro che fu una esperienza che mi tolse il respiro. Ricordo che, in quella occasione, cercai di resistere al partito che mi chiedeva di candidarmi, obiettando che la mia candidatura – proprio per il fatto che ero molto conosciuta – avrebbe rischiato di oscurare altre donne, impedendone l’elezione. Conservo ancora la lettera che inviai ai dirigenti dei DS e al sindaco, nella quale sostenevo proprio questo.

La preferenza unica ritornò poi nelle primarie a sindaco del 2009. Ma questa è un’altra storia, non riguarda il sistema elettorale istituzionale quanto quello delle primarie, ed essendo troppo vicina mi permetterete di non approfondire l’argomento. Però due cose vorrei dirle. La prima riguarda le risorse utilizzate dai candidati, la cui sproporzione fu talmente evidente che il partito (il PD) decise alla fine di sorvolare su tutta la vicenda. La seconda riguarda le fortissime pubbliche pressioni che dovetti subire per lasciare il campo ad altri candidati (ovviamente uomini).

Infine, nell’elezione a consigliera regionale sono stata collocata per scelta del partito nella testa di lista, composta con criteri di rappresentanza politica e di genere. Il PD scelse di non fare le primarie sulla testa di lista. Dopo un po’ di esitazione, ho però accettato di buon grado questo tipo di candidatura. Del resto, come ho già detto, ero passata tra tante elezioni competitive che forse mi poteva essere riconosciuta una capacità di rappresentanza senza l’ennesima verifica del voto. Però, devo riconoscere che questo tipo di elezione non è soddisfacente, e che in futuro, se mi capiterà di tornare al voto, preferirei certamente una legittimazione più sicura.

Direi che il sistema elettorale non l’ho mai scelto, ne ho dovuto sempre prendere atto. Questa volta, da consigliera regionale, vorrei partecipare a costruirlo, soprattutto per promuovere il rinnovamento in cui credo.

La rapida carrellata che ho fatto usando la mia esperienza personale, mi fa dire che, se è vero che le donne che hanno vissuto un’esperienza simile alla mia non temono la preferenza, questa è però una modalità molto critica per assicurare una vera democrazia paritaria. Le donne, con la preferenza unica, ma forse anche con quella doppia, fanno fatica a superare lo scoglio della politica tradizionale. Però, e qui mi rivolgo al collega Ciucchi e a Floridia, qualche correzione forse potrebbe essere utile. Ad esempio, io credo che si possa utilizzare la doppia preferenza (volontaria) in piccole circoscrizioni elettorali (diciamo di tre candidati), stabilendo – come è sicuramente legittimo – la presenza nelle piccole liste di entrambi i generi. Insomma: o due donne e un uomo, o due uomini e una donna; si può votare uno solo o due di genere diverso. E’ una traccia di lavoro, si può considerarla? Anche perché, se in Toscana si introduce la doppia preferenza, già oggi ci sono circoscrizioni molto piccole, nelle quali il sistema opererebbe. Perché non farlo diventare generale?

Una delle obiezioni più forti che si possono fare a tutti i sistemi con la preferenza (anche a quelli che dopo riassumerò) è questa: chi decide quali sono i candidati della lista? È un problema che esiste in tutti i partiti, ed è variamente risolto, con modalità partecipate (fino alla primarie) e con modalità più discutibili e accentrate (fino alla correzione delle liste al momento della presentazione). Le primarie, ad esempio,  non si fanno bene se poi c’è un voto di preferenza che le rimette in discussione, perché costringe partito e candidati ad uno stress elettorale infinito. Primarie e voto di preferenza sono un po’ alternativi, e restano tali anche quando i candidati sono pochi. Mi sembra che la proposta Ciucchi sia, su questo, del tutto ragionevole, con l’abrogazione della legislazione toscana sulle primarie.

Dunque, fermo restando che la doppia preferenza è sicuramente uno strumento interessante, credo che sia il sistema uninominale o, come dirò, quello binominale, la modalità di voto che sembra più coerente con l’obiettivo che oggi discutiamo.

Quando si parla di sistema uninominale si pensa immediatamente a quello già in vigore nelle elezioni politiche del periodo 1994-2001, il cd. Mattarellum, basato sul principio che chi arriva primo è eletto. Ma di sistemi uninominali ce ne sono tanti.

Per la rappresentanza femminile è, in generale, sicuramente un vantaggio. Però tutto si sposta nella capacità del partito di candidare donne nei collegi uninominali con elevata possibilità di elezione. Dunque, se si vuole pervenire ad una democrazia paritaria, occorrerebbe una regola (che non saprei come porre) che dice: ogni partito deve candidare un numero pari di uomini e donne nei collegi uninominali con più probabilità di elezione. Sono le cd. “candidature gemelle”.

Come avviene in altri paesi europei, per spingere i partiti a candidare donne in collegi uninominali con alta probabilità di elezione si possono prevedere misure antidiscriminatorie e incentivanti. Mi pare che però esperienze come quella francese (dove c’è l’uninominale a doppio turno) non siano considerate dalla letteratura come effettivamente in grado di conseguire ottimi risultati.

Resta il fatto che il collegio uninominale sicuramente espone di più i partiti alla valutazione sulla loro capacità di rappresentare adeguatamente entrambi i generi. Per questo, come dicevo, il sistema uninominale mi pare preferibile. Nel caso di elezioni con basso numero di eletti, come quelle regionali, vedo una certa difficoltà a seguire una strada rigorosa, del tipo Mattarellum o doppio turno. L’uninominale più semplice, che consente il turno unico, il mantenimento di un equilibrio tra maggioranza e minoranza, e un premio di maggioranza, è in fondo il sistema elettorale provinciale. Qui, poiché i candidati di collegio si presentano tutti insieme, potrebbe essere più facile applicare regole sulla presenza paritaria di genere (tante donne quanti uomini candidati per ogni partito). Però, il sistema provinciale ha il difetto, abbastanza grave, di non assicurare che chi arriva primo venga eletto, e questo non dà in mano all’elettore una scelta vera.

I sistemi uninominali che conosciamo, perciò, mi sembrano un passo avanti. Certo, si sposta molto sui partiti la responsabilità delle candidature femminili, ma si facilita indubbiamente l’assunzione del problema da parte dei partiti stessi. Come dirò più avanti a proposito di un’altra ipotesi sul tappeto,

Sono, infine, emersi nella discussione due sistemi elettorali innovativi, entrambi basati sul binominale, cioè su piccoli collegi nei quali ciascun partito presenta la doppia candidatura di un uomo e di una donna.

Ci sono due varianti.

La prima, proposta da Lorenza Carlassare, è in realtà – almeno formalmente – un sistema uninominale, nel quale però è data la possibilità (non l’obbligo, mi pare) ai partiti  di presentare due candidature, un uomo e una donna, e all’elettore di esprimere un voto di preferenza per uno dei due. Il voto di preferenza per ciascuno dei due determina il risultato complessivo del partito in quel collegio e l’elezione tra i due candidati di quello che ha preso più preferenze.

È un sistema elettorale molto interessate per ciò che discutiamo. Entrambi i candidati si battono insieme per far vincere il proprio partito. Però c’è tra i due anche una competizione, non distruttiva, perché anche il voto di chi dei due arriva secondo serve a far vincere il primo. L’elettore ha una scelta in più rispetto all’uninominale (nel quale sceglie solo fra candidati di diversi partiti). L’elettore infatti vota il partito e anche quello che preferisce tra i due candidati.

Questo sistema esprime plasticamente l’idea della democrazia paritaria come parità delle condizioni di partenza. Di fronte ci sono un uomo e una donna che si battono insieme ma che competono anche tra di loro.

Vantaggi e svantaggi mi sembrano evidenti. La democrazia paritaria si afferma nel momento elettorale, ma non è garantita in alcun modo nel suo esito; a prima vista, mi pare che il risultato è forse più difficile da raggiungere rispetto al voto di preferenza doppio in piccole circoscrizioni elettorali. Al limite, potrebbero vincere tutte le donne. Ma è evidente che le chances maggiori ce le hanno gli uomini. Il grande vantaggio di questo sistema è però che la legittimazione dell’elezione di una donna è molto più forte. L’elezione non dipende (come potrebbe avvenire con la preferenza doppia in liste lunghe) dalle alleanze con gli uomini. Le donne elette hanno sicuramente una marcia in più.

C’è infine, la possibilità, richiamata da Agnese Canevari ma oggetto nel passato anche di proposte di legge (Bordon-Mazzucca 1995), di pensare ad un sistema binominale (collegi con due candidati, una donne e un uomo), nel quale entrambi, se vincono, sono eletti. Questo sistema ha tutti i vantaggi dell’uninominale (è compatibile con il turno unico, con il mantenimento di un equilibrio tra maggioranza e minoranza, con il premio di maggioranza) e non ha alcuni svantaggi del sistema proposto dalla Carlassare. Si attaglia molto bene alle primarie, garantisce parità non solo in fase elettorale ma anche nel risultato. Ha il difetto, se così si può dire, che può essere realizzato meglio con grandi collegi (diciamo 14-18 in Toscana). Non può che prevedere una preferenza “interna”, poiché vi sono più situazioni – non la generalità, ma nemmeno marginali – nelle quali occorre stabilire che uno solo dei due sia eletto (ad esempio, quando ad un partito spetta un numero di consiglieri dispari, oppure quando un consigliere cessa dall’incarico per nomina in Giunta o elezione in parlamento, ecc.). E’ compatibile sia con candidati “di coalizione” sia con candidati “di partito”. Se è vero che, nella sua formulazione più semplice, appare distante dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, è possibile introdurre varianti che lo rendano compatibile con le conclusioni della Corte. In questa direzione va certamente la preferenza interna; e poi, è possibile passare dall’obbligo della candidatura uomo-donna alla volontarietà, ponendo incentivi anche elettorali per favorire la scelta dei partiti. Bisogna lavorarci, ma le soluzioni si possono trovare.

Come ho cercato di dimostrare, le possibilità di una svolta ci sono. Lo spettro delle proposte è veramente ampio. Del resto, ormai dovremmo convincerci tutti che, come ha detto la Corte costituzionale, “… la finalità di conseguire una parità effettiva fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale. Si tratta, invero, di una finalità collegata alla constatazione, storicamente incontrovertibile, di uno squilibrio di fatto tuttora esistente nella presenza dei sue sessi nelle assemblee rappresentative, a sfavore delle donne”.

Ecco, io credo che noi dovremmo porre rimedio a questa situazione francamente non più accettabile, da tutti i punti di vista. Non si tratta di un impegno di parte, ma di una carta che possiamo giocare insieme, a partire dalla donne di questo consiglio regionale. Ma direi, in primo luogo, dai partiti che ritengono di voler essere protagonisti della costruzione di una nuova Repubblica.

Mettiamo dunque nero su bianco le varie proposte, magari ritrovandoci ad un nuovo appuntamento di questo tipo. Poi, chi se la sente si faccia avanti.

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