Forum delle elette – sulla democrazia paritaria

novembre 17, 2011admin20110

Intervento di Daniela Lastri al Forum delle elette nei Consigli regionali – Roma 17 novembre 2011

Il 6 aprile scorso, a Firenze, abbiamo provato ad avviare una discussione su riforma elettorale e democrazia paritaria. Da allora, però, molta prudenza, forse troppa. La discussione si è finalmente riaperta dopo l’approvazione del decreto-legge 138/2011, che con l’articolo 14 ha imposto di ridurre i consiglieri regionali. Per la Toscana, si tratta di un impegno inevitabile, anche perché – come è noto – il sistema elettorale toscano è stato affiancato a quel Porcellum che 1.200.000 hanno chiesto si superare.

Ma un po’ dovunque cresce la critica a regole largamente considerate insoddisfacenti. Non so che cosa si riuscirà a fare. Certo è che il sistema elettorale condizionerà molte scelte politiche sugli schieramenti che si confronteranno. Il rischio, però, è che il confronto politico si polarizzi tutto sulle maggioranza future, lasciando nell’ombra la questione paritaria. Aggiungo che ogni ipotetica drastica riduzione dei parlamentari non favorirà certamente il discorso della parità.

A livello regionale, comunque, la riduzione dei consiglieri imporrà dovunque una riflessione sui sistemi elettorali. Ed è perciò una occasione per far ripartire il discorso della parità. Del resto, dover decidere quando siamo ancora lontani dalle elezioni del 2015 può aiutare a ridurre il rischio di far prevalere egoismi di parte. Ed è bene che chi è chiamato a votare una nuova legge elettorale lo faccia anche con una certa distanza dalle proprie aspirazioni personali.

Proverò ad affrontare il problema del sistema elettorale dal punto di vista delle donne, e credo che questo punto di vista offra spunti utili per tutti e per qualsiasi schieramento politico. Il gap di rappresentanza femminile è la spia più evidente della resistenza al cambiamento che attraversa il sistema istituzionale e politico.

Partiamo dal fatto che il sistema elettorale è l’aspetto centrale della rappresentanza. Io penso che sia venuto il tempo di passare dal discorso sulle “quote rosa” a quello della “democrazia paritaria”.

Mille sono i motivi, e tutti già detti in una sterminata letteratura. Certo è che le donne hanno un rapporto con il potere molto diverso dagli uomini. Questo rapporto diverso con il potere non è sufficientemente rappresentato. Le donne, in politica, continuano ad essere un numero esiguo, a dispetto della loro volontà di partecipazione. E il primo passaggio della politica è la rappresentanza nelle istituzioni. Se non si affronta questo passaggio, si fa fatica a fare qualsiasi passo ulteriore. La Toscana non ha risolto questo problema, anche se importanti fatti positivi ci sono stati, come la presenza paritaria delle donne nella Giunta e la scelta dell’opposizione consiliare di avere una donna come portavoce.

Io penso che per rinnovare la politica bisogna anzitutto femminilizzare i luoghi del potere. Questa è anche la condizione principale perché le azioni positive per la promozione del ruolo sociale della donna nel mondo del lavoro, delle professioni e dell’impresa non restino nell’agenda virtuale della politica. Ci si può affidare alla sola buona volontà dei partiti? Direi che non è sufficiente, per la semplice ragione che i partiti sono tentati più dal vecchio che dal nuovo. Bisogna invece superare la politica concessa alle donne o la politica che dà spazio alle donne a condizione che perdano qualcosa di sé nell’esercizio del potere. Ci vuole una svolta vera, un atto di auto riforma della politica tradizionale. Un po’ come avvenne con il voto alle donne.

L’auto riforma deve partire dal sistema elettorale, per rifondarlo sulla democrazia paritaria.

Il tema della democrazia paritaria attiene direttamente a come si esercita il potere, e se questo può essere rifondato più su principi di inclusione, di collaborazione e di cooperazione che sul conflitto e l’esclusione. In una democrazia paritaria uomini e donne hanno le stesse chances, ma non solo in senso formale. La democrazia paritaria è costruzione comune delle istituzioni democratiche. E’ giustizia di genere che si affianca a giustizia sociale. In una democrazia paritaria le donne non devono più chiedere spazio, perché questo è nelle regole della rappresentanza; lo spazio è assicurato da misure effettivamente antidiscriminatorie e anche da azioni positive. E una democrazia paritaria richiede il ricambio, è essa stessa uno dei fondamenti del ricambio. La democrazia paritaria è il primo fattore del rinnovamento. Impone una svolta ed è una leva – forse quella principale – per rifondare la Repubblica su nuove basi.

Veniamo dunque alle varie ipotesi di riforma che sembrano essere sul campo (o che vogliamo mettere in campo). Ricordo prima di tutto a me stessa che nessun sistema elettorale è perfetto, presenta vantaggi e svantaggi da considerare con attenzione.

Sicuramente sul tappeto c’è il ritorno al voto di preferenza, che può essere facilmente introdotto lasciando invariato tutto il resto del sistema di voto. Se si intende andare in questa direzione, l’unica strada che possa in qualche modo favorire la parità è prevedere un sistema con doppia preferenza, secondo la felice esperienza che ha fatto la Campania, che è passata da una rappresentanza femminile del 6% a quella attuale del 24%, superiore ad esempio alla Toscana, che ha visto l’elezione, in prima battuta, di solo 9 consigliere su 53. Sfioriamo un misero 17%, un risultato che certo non ci fa onore. Come si sa, con il modello Campania all’elettore si dà l’opportunità di dare due preferenze e, qualora questa sia la sua scelta, obbligatoriamente devono essere di genere diverso (un uomo e una donna).

In linea di massima, è vero che la doppia preferenza (volontaria, non obbligatoria) mette le donne in una condizione migliore. Confermata la sua legittimità dalla Corte costituzionale, è diventata una delle soluzioni ad oggi più sicure. Eppure, qualche riserva può essere avanzata.

Intanto, il sistema della preferenza impone ai candidati una campagna elettorale molto complessa e competitiva con quelli della stessa lista, e molto costosa. Mi chiedo, perciò, se questo sia alla lunga il terreno più favorevole per le donne. Per imporsi senza assumere tutte le modalità di una competizione tradizionalmente maschile, le donne devono essere molto, molto conosciute. Inoltre, mi sembra che, per essere eletta, una donna dovrebbe affidarsi ad alleanze (più alleanze) con gli uomini. Se non è molto, molto conosciuta, se non ha molti soldi da spendere, alla donna che affronta la campagna elettorale non resta che “farsi eleggere” sostanzialmente dagli altri uomini candidati. Il risultato, poi, non è per nulla scontato.

Questo del risultato è un argomento che la Corte costituzionale ha usato per dire che la legge della Campania è legittima (perché non assicura il risultato, appunto). Devo far notare però una incongruenza: non mi risulta che sia considerato illegittimo il risultato che, in gran parte, si ottiene con i collegi uninominali e, soprattutto, con le liste bloccate. Né mi risulta che ci sia stata avversione (giustamente …) ai listini regionali, dove cioè il risultato è scontato e ci sono spesso norme di rappresentanza dei due generi. Perché allora ci si oppone a liste formate in modo paritario? Non riesco a capire … Posso dirlo? La Corte Costituzionale mi sembra si preoccupi moltissimo della libertà dei partiti più che della libertà degli elettori. La Corte ci offre con le sue sentenze una elevata considerazione della democrazia paritaria, ma questa posizione ad un certo punto si ferma. Non riesce a trarre tutte le conseguenze dal ragionamento culturale che fa.

Secondo me, se guardiamo all’esperienza fatta, vediamo che le donne, con la preferenza unica, ma forse anche con quella doppia, fanno fatica a superare lo scoglio della politica tradizionale. Perciò, qualche correzione forse si potrebbe introdurre. Ad esempio, io credo che si possa utilizzare la doppia preferenza (volontaria) in piccole circoscrizioni elettorali (diciamo di tre-quattro candidati), stabilendo – come è sicuramente legittimo – la presenza nelle piccole liste di entrambi i generi. Insomma: o due donne e un uomo, o due uomini e una donna, o due e due; si può votare uno solo o due di genere diverso. Forse è una traccia di lavoro che può essere considerata.

Una delle obiezioni più forti che si possono fare a tutti i sistemi con la preferenza (anche a quelli che dopo riassumerò) è questa: chi decide quali sono i candidati della lista? È un problema che esiste in tutti i partiti, ed è variamente risolto, con modalità partecipate e con modalità più discutibili e accentrate. Le primarie, ad esempio,  non si fanno bene se poi c’è un voto di preferenza che le rimette in discussione, perché costringe partito e candidati ad uno stress elettorale infinito. Primarie e voto di preferenza sono un po’ alternativi, e restano tali anche quando i candidati sono pochi.

Dunque, fermo restando che la doppia preferenza è sicuramente uno strumento interessante e utile, credo che sia il sistema uninominale o, come dirò, quello binominale, la modalità di voto che sembra più coerente con l’obiettivo che provo ad esporre (la democrazia paritaria, appunto).

Quando si parla di sistema uninominale si pensa immediatamente a quello già in vigore nelle elezioni politiche del periodo 1994-2001, il cd. Mattarellum, basato sul principio che chi arriva primo è eletto. Ma di sistemi uninominali ce ne sono tanti.

Per la rappresentanza femminile è, in generale, sicuramente un vantaggio. Però tutto si sposta nella capacità del partito di candidare donne nei collegi uninominali con elevata possibilità di elezione. Dunque, se si vuole pervenire ad una democrazia paritaria, occorrerebbe una regola (che non saprei come porre, se non come regola interna agli stessi partiti) che dice: ogni partito deve candidare un numero pari di uomini e donne nei collegi uninominali con più probabilità di elezione. Sono le cd. “candidature gemelle”.

Come avviene in altri paesi europei, per spingere i partiti a candidare donne in collegi uninominali con alta probabilità di elezione si possono prevedere misure antidiscriminatorie e incentivanti. Mi pare che però esperienze come quella francese (dove c’è l’uninominale a doppio turno) non siano effettivamente in grado di conseguire ottimi risultati. Mi sembra che, pur di candidare uomini, i partiti preferiscano perdere gli incentivi e i premi che altrimenti gli spetterebbero.

Resta il fatto che il collegio uninominale sicuramente espone di più i partiti alla valutazione sulla loro capacità di rappresentare adeguatamente entrambi i generi. Per questo, come dicevo, il sistema uninominale mi pare preferibile. Nel caso di elezioni con basso numero di eletti, come quelle regionali, vedo una certa difficoltà a seguire una strada rigorosa, del tipo Mattarellum o doppio turno. L’uninominale più semplice, che consente il turno unico, il mantenimento di un equilibrio tra maggioranza e minoranza, e un premio di maggioranza, è in fondo il sistema elettorale provinciale. Qui, poiché i candidati di collegio si presentano tutti insieme, potrebbe essere più facile applicare regole sulla presenza paritaria di genere (tante donne quanti uomini candidati per ogni partito). Però, il sistema provinciale ha il difetto, abbastanza grave, di non assicurare che chi arriva primo venga eletto, e questo non dà in mano all’elettore una scelta vera.

I sistemi uninominali che conosciamo, perciò, mi sembrano un passo avanti. Certo, si sposta molto sui partiti la responsabilità delle candidature femminili, ma si facilita indubbiamente l’assunzione del problema da parte dei partiti stessi.

Sono, infine, emersi nella discussione due sistemi elettorali innovativi, entrambi basati sul binominale, cioè su piccoli collegi nei quali ciascun partito presenta la doppia candidatura di un uomo e di una donna.

Ci sono due varianti.

La prima, proposta da Lorenza Carlassare, è in realtà – almeno formalmente – un sistema uninominale, nel quale però è data la possibilità (non l’obbligo, mi pare) ai partiti  di presentare due candidature, un uomo e una donna, e all’elettore di esprimere un voto di preferenza per uno dei due. Il voto di preferenza per ciascuno dei due determina il risultato complessivo del partito in quel collegio e l’elezione, tra i due candidati, di quello che ha preso più preferenze.

È un sistema elettorale molto interessate per le cose che discutiamo. Entrambi i candidati si battono insieme per far vincere il proprio partito. Però c’è tra i due anche una competizione, non distruttiva, perché anche il voto di chi tra i due arriva secondo serve a far vincere il primo. L’elettore ha una scelta in più rispetto all’uninominale (nel quale sceglie solo fra candidati di diversi partiti). L’elettore infatti vota il partito e anche quello che preferisce tra i due candidati.

Questo sistema esprime plasticamente l’idea della democrazia paritaria come parità delle condizioni di partenza. Di fronte ci sono un uomo e una donna che si battono insieme ma che competono anche tra di loro.

Vantaggi e svantaggi mi sembrano evidenti. La democrazia paritaria si afferma nel momento elettorale, ma non è garantita in alcun modo nel suo esito; a prima vista, mi pare che il risultato è forse più difficile da raggiungere rispetto al voto di preferenza doppio in piccole circoscrizioni elettorali. Al limite, potrebbero vincere tutte le donne. Ma è evidente che le chances maggiori ce le hanno gli uomini. Il grande vantaggio di questo sistema è però che la legittimazione dell’elezione di una donna è molto più forte. L’elezione non dipende (come potrebbe avvenire con la preferenza doppia in liste lunghe) dalle alleanze con gli uomini. Le donne elette hanno sicuramente una marcia in più.

C’è infine, la possibilità, richiamata da Agnese Canevari ma oggetto nel passato anche di proposte di legge, di pensare ad un sistema binominale (collegi con due candidati, una donna e un uomo), nel quale entrambi, se vincono, sono eletti. Questo sistema ha tutti i vantaggi dell’uninominale (è compatibile con il turno unico, con il mantenimento di un equilibrio tra maggioranza e minoranza, con il premio di maggioranza) e non ha alcuni degli svantaggi del sistema proposto dalla Carlassare. Si attaglia molto bene alle primarie, garantisce parità non solo in fase elettorale ma anche nel risultato. Ha il difetto, se così si può dire, che può essere realizzato meglio con grandi collegi, ma comunque abbastanza numerosi (situazione che si presenta non in tutte le Regioni). Non può che prevedere, secondo me, anche una preferenza “interna”, poiché vi sono più situazioni – non la generalità, ma nemmeno marginali – nelle quali occorre stabilire che uno solo dei due sia eletto (ad esempio, quando ad un partito spetta un numero di consiglieri dispari, oppure quando un consigliere cessa dall’incarico per nomina in Giunta o elezione in parlamento, ecc.). E’ compatibile sia con candidati “di coalizione” sia con candidati “di partito”. Se è vero che, nella sua formulazione più semplice, appare distante dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, è possibile introdurre varianti che lo rendano compatibile con le conclusioni della Corte. In questa direzione va certamente la preferenza interna; e poi, è possibile passare dall’obbligo della candidatura uomo-donna alla volontarietà, ponendo incentivi anche elettorali per favorire la scelta dei partiti. Pensate solo al fatto che, se ci fosse questo binominale, per alcuni partiti l’obbligo (per regola interna) di candidare un uomo e una donna scatterebbe quasi automaticamente. Bisogna lavorarci, ma le soluzioni si possono trovare.

Come ho cercato di dimostrare, le possibilità di una svolta ci sono. Lo spettro delle proposte è veramente ampio. Del resto, ormai dovremmo convincerci tutti che, come ha detto la Corte costituzionale, “… la finalità di conseguire una parità effettiva fra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale. Si tratta, invero, di una finalità collegata alla constatazione, storicamente incontrovertibile, di uno squilibrio di fatto tuttora esistente nella presenza dei sue sessi nelle assemblee rappresentative, a sfavore delle donne”.

Ecco, io credo che noi dovremmo porre rimedio a questa situazione francamente non più accettabile, da tutti i punti di vista. Non si tratta di un impegno di parte, ma di una carta che possiamo giocare insieme, come donne dei consigli regionali. Ma direi, in primo luogo, dai partiti che ritengono di voler essere protagonisti della costruzione di una nuova Repubblica.

Daniela Lastri

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