METTETECI LA VOSTRA FACCIA, NON QUELLA DI ENRICO BERLINGUER

Per far digerire a un po’ di popolo di sinistra l’orribile controriforma costituzionale di Renzi & C., qualche giornale e qualche dirigente del PD hanno tirato fuori dal cilindro la vecchia proposta del PCI (dunque, si dice, di Enrico Berlinguer) di soppressione del Senato. La campagna estiva vede tra i protagonisti anche Enrico Rossi, Presidente della Giunta regionale della Toscana, uno a cui piace definirsi un vero “berlingueriano”.

Al di là di polemiche personali, che lasciano il tempo che trovano (ognuno è libero di definirsi come gli pare) qui sono in gioco i valori che ispirano la controriforma renziana della Costituzione, e sostenere che questi affondano nella storia e nelle radici culturali della sinistra italiana è operazione della quale non si può tacere. Anche perché, vedrete, tra un po’ si passerà a sostenere – nella preoccupazione che nasca un nuovo soggetto unitario della sinistra italiana – che chi viene dalla tradizione del PCI non può che stare con Renzi, anzi che il PD di Renzi è la moderna prosecuzione del PCI di Berlinguer. La cosa, nella sua stupidità, può anche non essere interessante, e può perfino far sorridere. Essa, però, segna una involuzione del discorso politico, e deve preoccupare le persone libere, oneste e ragionevoli. Le quali è bene che reagiscano con le uniche armi che hanno a disposizione: il richiamo alla realtà, l’esercizio della ragione, e l’orgoglio delle proprie idee e della propria storia.

Di fronte alla telenovela che raccontano Renzi & C., la prima tentazione che ho avuto, però, è stata di mandare al diavolo le bugie e basta. Chiunque abbia fatto politica nel PCI sa che quel partito non c’entra nulla con il PD, e che la storia degli anni ’70 e ’80 (gli anni di Berlinguer segretario) sono lontanissimi da quelli di oggi, per le forze in campo, per i programmi sostenuti, per i caratteri della vicenda italiana. Quelli che hanno la mia età lo sanno (se non se lo sono dimenticato …), ma forse gli altri un po’ meno, e allora – in questa estate di chiacchiere bugiarde – forse è utile dire qualcosa di più, tanto per far sentire l’importanza del momento, e perché nessuno, già elettore o militante del PCI, si senta rassicurato dalla propaganda dei “berlingueriani” immaginari.

Mi perdonerete perciò se sarò un po’ lunga, ma non posso fare a meno di chiedere qualche minuto di attenzione per ricostruire qualche passaggio di quegli anni e rappresentare così, in modo argomentato, il mio giudizio. Attendo le vostre impressioni.

Dunque, c’era una volta il PCI di Berlinguer, era il 1981 e quel partito propose, in un documento intitolato “Materiali e proposte per un programma di politica economico-sociale e di governo dell’economia”, anche la soppressione del Senato, rendendo esplicita una delle posizioni storiche dei comunisti italiani. Passarono degli anni, e nel 1986 – due dopo la scomparsa del leader – Alessandro Natta segretario del PCI e altri (tra cui Zangheri e Ingrao) presentarono in Parlamento la proposta di legge n. 4115 “Riforma del Parlamento ed istituzione di una Camera unica”, anche a dimostrare che non gli andava bene il risultato della commissione Bozzi sulle riforme. Era il tempo di Craxi e di De Mita, di riforme costituzionali si discuteva, ma una cosa era chiara al PCI monocameralista: il sistema elettorale proporzionale non si toccava.

Mettiamo allora tre punti fermi, tanto per capirci.

Primo: certo che il PCI propose, formalmente negli anni ’80, l’approdo a un sistema monocamerale, ma è clamorosamente falso adombrare che somigli seppure vagamente a quello che oggi propone Renzi, che poi è un presidenzialismo di fatto, con la concentrazione di tutti i poteri in una Camera dei deputati eletta con un sistema fortemente maggioritario e a dominanza del Capo del Governo. Il PCI propose, come si è detto, la soppressione del Senato ma tenendo fermo il Parlamento eletto in modo proporzionale e “senza nominati”. Giusta o sbagliata che fosse questa posizione “proporzionalista”, essa era però fortemente radicata nel PCI. Il PCI infatti ambiva a costruire un’alternativa democratica senza forzature maggioritarie, e in un Parlamento rappresentativo della sua notevole forza elettorale.

Secondo: mai il PCI, e men che mai il PCI di Berlinguer, si è espresso per un sistema sostanzialmente presidenziale. Il PCI non truccava le carte, il “giocatore di poker” era Craxi.

Terzo: il PCI è sempre stato a favore di un Parlamento forte, mai prono al governo (che pure si voleva anch’esso rafforzato), perché aveva una sensibilità costituzionale da far invidia ai liberali più convinti. Nelle sue proposte il PCI ha sempre coltivato la distinzione tra esecutivo e legislativo, ha sempre sostenuto il pluralismo istituzionale e il valore delle autonomie, a un certo punto diventando il più convinto difensore del regionalismo.

Nessuna traccia di queste idee c’è nella riforma costituzionale di Renzi & C. Nessuna. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire.

Se nutrite ancora qualche dubbio che le cose stiano effettivamente così, consiglio una rilettura della proposta di legge del 1986, e della relazione che l’accompagna. Lettura istruttiva, che chiarisce anche a chi non viene da quella storia che le proposte del PCI di allora non ci azzeccano proprio niente con quelle del PD di oggi.

Intanto, il PCI un “senatuccio” di quattro soldi non l’ha mai proposto. Poi, il PCI teneva in considerazione le preoccupazioni dei “bicameralisti”, cioè i rischi di colpi di mano nella Camera unica, cosicché il suo monocameralismo non solo non metteva in discussione la composizione proporzionale del Parlamento, ma era intriso di contrappesi, prima di tutto mediante quella “seconda lettura” delle leggi, prevista sia per garantire l’esigenza di un ripensamento delle decisioni, sia per consentire alle minoranze di attivare, nell’intervallo tra la prima e la seconda deliberazione, “processi di partecipazione e di coinvolgimento dell’opinione pubblica”. Capito?

Diceva il PCI che il monocameralismo era una soluzione affidabile poiché ormai la legislazione non era solo nelle mani dello Stato visto che c’erano anche le Regioni a evitare la concentrazione del potere; e poi c’era una attiva presenza della Corte Costituzionale, c’era un consolidato sistema di garanzie per i diritti di libertà dei singoli e delle formazioni sociali, e l’indipendenza del potere giudiziario non era in discussione; c’erano soprattutto le “opzioni politiche delle principali forze democratiche” che garantivano un confronto improntato alla correttezza delle relazioni di rilievo costituzionale. Dunque, una linea di rafforzamento del Parlamento e del Governo, nell’ambito, come si è detto, della forma parlamentare e del principio proporzionalista. Talmente sicuro era il PCI che non vi fosse alcun margine per future forzature istituzionali che non sentì il bisogno di sancire formalmente nella sua proposta il principio proporzionalista, come invece aveva fatto la Sinistra Indipendente nel 1985 (“La legge elettorale si ispira ai principi della rappresentanza proporzionale e ne attua le finalità”). E che dire della riduzione del parlamentari? La proposta del PCI li portava a 420.

Sorge perciò spontanea una domanda ai “berlingueriani” immaginari: come mai non avete riproposto quel che diceva il PCI sulle riforme costituzionali ed elettorali? Come mai vi siete dimenticati di esibire le vostre presunte fedeltà al momento dell’Italicum o della legge elettorale toscana? Facile la risposta, e la lascio ai lettori.

L’orribile riforma costituzionale di Renzi racconta, in realtà, tutta un’altra storia, che non vale la pena di ricordare nel dettaglio solo per decenza. E qui la domanda delle domande, che – oso sostenere – il PCI e ogni forza politica democratica si sarebbero di certo posti: può un Parlamento eletto con un sistema elettorale dichiarato incostituzionale fare, e addirittura con risicate maggioranze che non rappresentano la maggioranza dei cittadini, una riforma costituzionale che umilia il Parlamento e lo mette sotto il giogo del Governo? Domanda per me retorica, la cui risposta esclude ogni possibilità di “porgere l’altra guancia” agli autori della “controriforma a comando unico”.

Dunque è chiaro a tutti perché oggi, fatto l’Italicum, da sinistra si reclama un Senato elettivo e a garanzia dei diritti fondamentali, come unica possibilità per ridurre il danno immenso che si sta per consumare.

Perciò, a quelli che – ormai privi di argomenti – si attaccano al comunismo italiano per giustificare le proprie nuove fedeltà, dico: difendetevela come vi pare questa controriforma, ma abbiate il coraggio di farlo con le vostre idee, quelle di oggi, non quelle che avete abbandonato. Non c’è citazione di Berlinguer, o del “giovane Marx” o dei padri del socialismo e del movimento operaio che vi potrà salvare la coscienza – ai nostri occhi – da ciò che avete infine sposato. Neppure mobilitando schiere di chierici al vostro servizio riuscirete a trovare un concetto, una proposta, un’idea del PCI di Berlinguer che riesca a giustificare il vostro battimani all’abolizione dell’articolo 18, alle nefandezze dello Sblocca Italia, alla mortificazione della scuola e della sanità pubbliche, alla distruzione del sistema democratico regionale e locale e, infine, alla controriforma costituzionale. Battete dunque le mani, se vi piace, ma fatelo con le vostre.

Intanto, noi saremo qui, piccoli o grandi lo vedremo, a raccontare un’altra storia. Si, lo sappiamo, l’idea che nasca una nuova sinistra a volte non vi fa dormire, ed è per questo che la rappresentate – ogni occasione è buona – come quella degli estremisti che negli anni ’70 sfottevano Berlinguer. Bestemmie. Invece, per vostra sventura, noi siamo quelli che hanno fatto il movimento degli studenti del ’75 e ci siamo battuti a viso aperto contro i gruppi violenti ed eversivi; noi siamo quelli dei referendum sul divorzio, sull’aborto e sulla scala mobile; noi siamo quelli che sono stati per Berlinguer che parlava davanti ai cancelli della Fiat, siamo quelli che hanno riconosciuto la propria esperienza politica nella proclamazione della democrazia come valore universale; siamo quelli che applaudirono con convinzione all’ammissione “dell’esaurimento della spinta propulsiva del socialismo dell’est”. Noi siamo quelli che hanno vissuto periodi tra i più duri del dopoguerra – le stragi fasciste, il terrorismo rosso, il delitto Moro – eppure mai chiusi nei recinti del passato, cercando sempre di non perdere il legame con i propri coetanei, e con le speranze e la voglia di cambiamento della parte più avanzata della società. Noi siamo quelli che andarono in Irpinia al tempo del terremoto, e finalmente trassero un respiro di sollievo per la svolta del PCI sull’alternativa democratica. Siamo quelli che a Roma, il 13 giugno in Piazza San Giovanni, fischiarono Craxi. Si, abbiamo amato e rispettato Berlinguer senza il bisogno di proclamarci ai quattro venti “berligueriani”. Proviamo dunque pena per chi oggi vorrebbe farci lezioni di politica, avendo gettato in un remoto angolino la voglia di combattere per un mondo migliore.

Il 27 aprile 1983, a Mixer su Raidue, Gianni Minoli chiese a Berlinguer: “Ci può fare brevemente l’identikit di un berlingueriano?” E Berlinguer: “Non posso, perché io nego che esista questa categoria di berlingueriani”. E ancora, a Minoli che gli chiedeva quale fosse la qualità a cui era più affezionato, Berlinguer rispose: “Quella di essere rimasto fedele agli ideali della gioventù”. Ecco, cari berlingueriani immaginari, questo è ciò che vi distingue veramente da Berlinguer. E ciò che invece fa essere noi – che mai ci definimmo per piaggeria berlingueriani – a lui più vicini.

(la foto è di Red Giorgetti, oggi dell’Associazione Ciclostilato in Proprio, Storia e memorie del MSF)

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